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mercoledì 31 maggio 2017

Marco Antonio Campos su "La casa delle fate"

QUESTO NIENTE
La casa delle fate è un libro crudo e duro, tristemente angoscioso, ma nel quale sono presenti anche delicate tenerezze  e una comprensione triste  davanti all’abbandono senza ritorno. Due parole non dette – due sentimenti –  scorrono sotto il libro: pietà e rimorso.
Il libro non presenta complicazioni tematiche: la prima parte è la descrizione dolorosa di una casa di riposo per donne anziane dove, ottuagenaria e diabetica, ha dimorato la madre dell’autrice negli ultimi due anni di vita; la seconda verte sul decesso e sulla sepoltura della madre e, nella terza, nel dopo, si trovano i ricordi tristi e le riflessioni sulla riconciliazione postuma.
Nella prima parte, è il dolore della figlia, che è diventata madre di sua madre, e che vede intorno a sé anziane che soffrono di ogni specie di malattie e degradazioni fisiche e mentali. Molto vicina, ronzando sempre intorno, dà loro la caccia la Signora Morte.
Si sente nella casa di riposo il trascorrere delle “giornate tutte uguali”, i giorni inutili, i giorni buttati nel vuoto. “Non ci sono luoghi dove racchiudere” il paradiso. Giorni in cui si vede la televisione, si mangia, si aspettano i parenti (che molto probabilmente non verranno) o si va a letto a qualsiasi ora per assentarsi dalla propria assenza. O detto da Cinzia impeccabilmente: la vita è “questo niente”.
Delle età che ci tocca vivere, quella della madre qui è il tempo rotto dell’ultima vecchiaia. Crudo e duro, il libro mostra, tuttavia, che persino nell’ultima frontiera della vita si possono trovare finestre che guardino verso il giardino, il bosco, il cielo. Quel giardino, quel bosco e quel cielo sono i ricordi splendidamente spezzati della fanciullezza e della gioventù che si vorrebbero vivere nuovamente, come quello dell’anziana che si veste per andare al mare. Che l’erba appassita torni al suo verde originale. Ma a volte persino i ricordi sono imprecisi o semplicemente cadono in un pozzo dove non si vedono. A volte si sente come se nessuna sapesse chi è e se è qualcuna.
Tuttavia Cinzia trova anche un modo per dare alle anziane un qualche conforto e sollievo leggendo loro delle poesie. Nell’ascoltarle, le donne sono prese da improvvise illuminazioni o sensazioni che credevano perdute.
Nel libro ci sono scarsi compiacimenti. Angoscioso, il luogo è di un bianco abbagliante e il letto della madre, come tutti, “anonimo e impietoso”.  Paradossalmente ironico è il titolo della raccolta, La casa delle fate, come la madre battezza la deprimente casa di riposo.
L’ultima sezione, il dopo il decesso, non è meno triste e a momenti macabra nell’immaginare la disintegrazione del corpo della madre. Tuttavia, a poco a poco, col trascorrere del tempo, arrivano la rassegnazione e la quiete. Nella poesia che chiude la raccolta, già trascorsi i vari momenti, Cinzia riassume nell’ultimo sguardo della madre tutto il loro rapporto, quell’ultimo sguardo “dove sono tutte le parole che non ci siamo mai dette”.
Non era facile la prova, ma Cinzia Marulli l’ha superata: ha fatto con un tema che a molti sembrerebbe sgradevole un ottimo libro di poesie che commuove il cuore del lettore.

Marco Antonio Campos
Città del Messico, gennaio 2017

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