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giovedì 12 giugno 2014

A Antonietta


Non cedere nel silenzio
ora che il passo è quasi giunto
la fatica passata nuota
in acque profonde

Donna, afferra le tue mani e baciale
baciale
come baceresti la pelle bianca di tuo figlio

baciale come fossero i grani di un rosario

come la croce di Cristo

come la veste bianca di una sposa


non cedere ora alla muta sorte
guarda avanti, nel sorriso dell’orizzonte
dove le lacrime diventano rugiada
e Proserpina splende nel sole della veglia


Donna, piega le tue vesti
pettina lentamente i fili lunghi dei tuoi capelli
e nutri
nutri questo mondo come spiga di grano.


                                               Cinzia Marulli Ramadori



Questo testo, appena scritto e quindi ancora in progress, è stato interamente ispirato da una cara amica, conosciuta da poco, ma già sorella: Antonietta Gnerre. A lei naturalmente lo dedico. Lei che ai miei occhi è anima bella. 
                                          CMR

lunedì 9 giugno 2014

Una lettura di Monia Gaita su Las Mantas de Dios

Cinzia carissima, terminata la lettura del tuo libro, ho ripercorso una frase di Rainer Maria Rilke cui sono particolarmente legata: "C'è una sola via. Penetrate in voi stessi. Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere; esaminate se essa estenda le sue radici nel profondo luogo del vostro cuore." Ecco, io credo che tu abbia felicemente innescato un riuscito processo poetico facendo in modo che le idee si inscrivano in una struttura coerente, armoniosa, compatta e vibrante, dove la veglia, nel rimpianto di una perduta condizione edenica, sparge schegge assolute e pure, e cova epifania. Il condensato verbale, nella ricerca dell'essenzialità simbolica e di una diretta forza connotativo-definitoria delle parole, seleziona e ricompone impressioni ed emozioni con puntualità lessemica improntata a limpidezza e intellegibilità del dettato. I versi sono i grandi interlocutori che ci aprono alla realtà e alla vita, e contro la minaccia della morte sembrano ricondurci alla natalità del mondo dentro cui restiamo avvolti come in un utero materno. Perché alla fine, oltre il margine di irriducibilità della spazialità caotica che ci circonda, emerge su tutto, a risarcirci dagli schianti e dalle rotture del negato, l'alchimia di una salvezza, la rivelazione antica dell'istante, la favola di un viaggio in cui soggiorna un canto: un canto di bellezza che travolge il buio e lo sormonta.

2 giugno 2014


                                                                                               Monia Gaita