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sabato 16 marzo 2013
Risonanza, echi di pensieri su Agave
Ho ricevuto, oramai molto tempo fa, questa bellissima mail di Maria Stella Fabbri ed ho pensato di condividerla con voi.
Ottobre 2011
Cara
Cinzia,
ho riletto tutte le tue poesie, ma l’eco che t’invio
si limita al titolo e a quanto ad esso strettamente si lega, dove
particolarmente ha sostato la mia attenzione.
Del resto il da dirsi sull’insieme è stato ampiamente
ed egregiamente detto, per cui …
Quanto ti consegno è spontaneamente nato da un
connubio di pensieri e di realtà che si sono come incrociate, venendo tra loro
a colloquio.
Ho un’agave nel mio terrazzo: la strappai, anni
fa, ad una selvaggia riva marina della
mia selvaggia Maremma. Mi è sempre piaciuta quella sua robustezza orientata al
fiorire, quella sua carnosità capace di rendere ricamo l’impronta delle sue
stesse spine (appuntito vertice solo a difesa), il suo ergersi a mostrare tutta
quella vita selezionata dentro il mistero della terra…
Come fai tu, nell’esergo della tua raccolta, dopo
averlo fatto di fronte allo svelarsi del tuo Evento per darne immediata notizia
al Figlio…pur se da lui ti veniva, e imperiosa, la nuova identità.
Affidata alle pagine, la notizia s’è poi diffusa…
Eppure conserva una sua indicibile unicità, così come unica resta l’esperienza
di quella “radice” che s’insinua “tra le zolle” in cerca d’acqua, per
crescere “come pianta/rampicante” e
avvinghiarsi “alla vita” fino a “fiorire”. Dove il fiorire è, al tempo
stesso, autonomia di processo e restituzione: a saziarti sono infatti i suoi “petali”, del cui prodigio anche la tua “anima grida”, mentre “il grembo
devoto” si fa spazio al plasmarsi in vita dell’amore.
Una vita che, oltre al volto del Figlio, avrà anche
altri volti, com’è naturale che sia per la diffusività dell’amore, ma che,
tuttavia, in lui esprime, per te, più naturalmente che mai, la sua massima celebrazione.
Grazie a te e alla poesia, Maria Stella Fabbri
venerdì 15 marzo 2013
Democrazia di Alberto Toni (La vita felice 2011)
Democrazia di Alberto Toni (Ed. La vita felice) è un poemetto di carattere civile diviso in cinque parti. La prima parte incomincia con una citazione tratta dal romanzo “Primavera di bellezza”di Beppe Fenoglio che ci introduce direttamente nella seconda guerra mondiale, ce ne rappresenta l’orrore con i suoi morti, ma anche con la sua ipocrisia. Tuttavia in Democrazia non esiste un tempo definito bensì prevale la dimensione atemporale, il ritrovarsi oltre il tempo. La guerra, poco importa se è la seconda guerra mondiale, è la Guerra , il concetto stesso nella sua essenza a essere preso in esame, sono tutte le guerre del mondo, quelle passate e quelle potenzialmente future. In questa prima parte la guerra viene esaminata, sezionata, condannata e perfino superata con una visione nel bene e nella speranza, non siamo infatti di fronte ad una poesia civile fine a se stessa, bensì davanti ad una poesia di “esortazione” nella quale è forte il senso della coscienza e la consapevolezza del bene da conquistare, un bene visto come fine verso il quale tendere e in cui credere. Interessante, ad esempio, la figura delle “madri” portatrici di speranza, di nuove aperture, già consapevoli dell’assurdità della guerra.
Colpisce la poesia di Alberto Toni perché crea suggestioni. E’ una poesia che penetra, entra dentro, s’insinua, è una poesia che si “sente”, smuove le sensazioni, i sentimenti, le percezioni: non ci descrive la guerra, ce la fa vivere.
La seconda parte inizia con un verso secco, preciso, intensissimo: Democrazia è pazienza…./ Sintesi esemplare nella quale è racchiuso tutto il lavoro, il sacrificio, il credo, gli ideali che sono alla base della democrazia. La democrazia è una lunga, difficile e dolorosa conquista. Alberto Toni ce ne espone il senso profondo e ci ricorda che la democrazia deve avere come fondamento essenziale l’onestà.
Nella terza parte c’è di nuovo l’esortazione a non soffermarsi a guardare al negativo, ma a focalizzare lo sguardo verso la meta giusta, verso ciò che si vuole veramente, a non perdersi. Ma attenzione, non si può andare avanti senza ricordare il passato, senza tenerlo sempre bene in vista: …/ritaglia dalla ruota del camion il ritratto/di tua madre e tienilo sempre con te,/non puoi tentare il futuro senza il ritratto/di tua madre./
In questa terza sezione Alberto Toni si sofferma maggiormente sul significato stesso di democrazia, sulla sua essenza: Anche il sorriso dovrà fondersi con il tuo./ Tutto il sacrificio nascosto, dirimere/ le questioni irrisolte, di sera davanti/l’uno all’altro, fino a quando non ci sarà/tregua. Non è forse racchiuso in questi versi il senso profondo della democrazia?
La quarta parte si apre con una citazione di P.P. Pasolini tratta da Transumanar e organizzar:
-Come dice Euripide: «La democrazia consiste in queste semplici parole: chi ha qualche utile consiglio da dare alla sua patria?» -
Siamo quindi un passo avanti nella ricostruzione , ma qui forte è il senso del sacrificio e del dolore. Cosa ci ha lasciato la guerra? Il dolore della madri in lutto - e proprio per questo “Ora è tempo di lavoro” dice Toni. Tutti quei giovani morti non possono essere periti invano . Sono loro che hanno pagato per tutti e noi abbiamo il dovere di rendere sacre quelle morti attraverso il nostro lavoro per costruire un mondo di bene: “Chi ha qualcosa da dire di buono. Perché/ il sole è gia alto e quello avanti sono un/ bel gruppo per l’avanguardia, le riserve/ ci sono, gli zaini, una bandiera rimediata./
E’ una sezione che porta alla riflessione e alla considerazione che la democrazia deve essere fatta con l’apporto di tutti, all’unisono.
La quinta e ultima parte si apre con una citazione di De Amicis tratta dal libro Cuore: L’educazione di un popolo si giudica innanzi tutto dal contegno ch’egli tien per la strada.
E’ dunque evidente qui il richiamo al senso civico di un popolo, al sua capacità di relazionarsi in un contesto sociale. In questa parte è meno evidente il senso tragico, tuttavia rimane presente, anzi direi incombente, il dolore della guerra, il sacrificio della ricostruzione.
Colpisce la poesia di Alberto Toni perché crea suggestioni. E’ una poesia che penetra, entra dentro, s’insinua, è una poesia che si “sente”, smuove le sensazioni, i sentimenti, le percezioni: non ci descrive la guerra, ce la fa vivere.
Beatrice Cenci - Monologo teatrale di Anita Napolitano
Il monologo di Beatrice Cenci scritto con incredibile intensità da Anita Napolitano non vuole essere l’ennesima rappresentazione storica di un mito che dura ormai da oltre trecento anni , non ha il solo intento di rievocare una storia vera, triste e tragica legata al nostro passato e alla nostra storia. E’ invece una denuncia odierna ed attualissima della sin troppo diffusa violenza che da sempre, e ancora oggi, si può nascondere dietro le apparenze perbeniste delle mura domestiche.
Non c’è tempo dunque in questa storia. C’è invece un’analisi raffinata e spietata della società e della natura umana. Perché la violenza perpetrata all’interno della “casa” è quanto di più subdolo e pericoloso possa esserci : mina le basi stesse dell’esistenza, capovolge l’orientamento, annienta l’”io”;
Lo sguardo però, si estende anche al di fuori, oltre le mura domestiche, che possono celare, è vero, ma fino ad un certo punto. Perché i segnali verso l’esterno debbono pur esserci, ma non sono percepiti: la società, “l’altro” è troppo cieco per vedere e se anche vede, a volte, aimè, diventa quasi compiacente perché preso dal gusto perverso del “male”.
La condanna del perbenismo borghese e dell’ipocrisia ecclesiastica è fortissima in questo testo: “... nel mondo cristiano non importa che un padre faccia una vita dissoluta, o che usi violenza contro i propri congiunti, o vada a bordelli e sgualdrinelle, è importante per il Papa dare una pena esemplare a chi è accusato di parricidio.” Poche parole messe in bocca a Beatrice Cenci, poche ma dirette e chiarissime parole per esprimere tutto l’esprimibile, per condannare senza ricorrere ad artifizi, ma con la semplice e ovvia esposizione dei fatti.
In questo monologo è l’autrice stessa ad alzare il coltello verso il padre, è la rabbia di Anita-Beatrice verso tutto il brutto della natura umana, verso la sopraffazione dei più deboli, verso gli innocenti. Ed è Anita-Beatrice che proprio in apertura ci espone , ci rivela la perdita maggiore che porta l’oscurità dell’animo umano: “no, no, il mio desiderio più grande era quello di sposarmi, quello di avere dei figli e di educarli...”; l’importanza delle cose semplici e belle della vita, a volte troppo erroneamente date per scontate e che, invece, per molti sono conquiste quotidiane.
Anita-Beatrice lo dice con chiarezza: il male è in ognuno di noi, ma sta ad ognuno di noi scegliere il bene. E’ questo secondo me il messaggio più importante che l’autrice ci trasmette; perché tutto il monologo è sì una denuncia, ma anche e soprattutto una lezione sulla capacità di scelta che ha ogni essere umano. La capacità di scegliere tra il bene, che porta all’amore e alla felicità, e il male che ha come conseguenza inevitabile il dolore.
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