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giovedì 28 luglio 2011

Occhi di Argo intervista Cinzia Marulli Ramadori


Le 5 magiche domande

Come sei venuta alla vita?   

Con gli occhi spalancati! E ancora oggi il mio sguardo è lo stesso, profondamente illuminato dallo stupore e dalla gratitudine. Ogni risveglio mattutino è per me come una nuova nascita e la prima parola che mi sale alle labbra è “grazie”. Per ogni cosa, per la luce che vedono i miei occhi, per l’oscurità che li vela, per il profumo dell’erba appena tagliata, per l’odore acre dello smog, per ogni lacrima che si è trasformata in pensiero, per l’aria che respiro, per la terra su cui posare i passi del mio santo camminare. Non è, il mio, un sentire superficiale della vita, ma una conquista dovuta ad un lungo percorso nel quale di certo non sono mancati il dolore e le privazioni che, probabilmente, mi hanno portato ancora di più ad apprezzare le piccole immense cose della vita.

Qual è il tuo messaggio?  

L’amore e la coerenza. La mia ultima raccolta di poesie, Agave,  pubblicata con la LietoColle, vuole trasmettere proprio questo tipo di messaggio. Perchè tutto è secondario all’amore.
Ma ovviamente amore è una parola grande, grandissima e non basta pronunciarla per diventarne portatori, ma è necessario compiere ogni gesto della propria vita tenendo presente questo principio fondamentale. Per questo parlo di coerenza, perchè è una scelta che a volte richiede grande forza. L’amore è privo di ogni forma di possessività, è altruismo, è saper rispondere con un sorriso ad un insulto; trova il suo basamento nell’umiltà e nella speranza. Certo è una strada difficile, ma in cambio possono giungere doni meravigliosi ed inaspettati. Un aspetto che non bisogna mai dimenticare è di avere sempre amore per sè stessi, perchè il rispetto per la propria persona e per la propria esistenza porta inevitabilmente ad aprirsi in senso positivo nei confronti degli altri.

Di cosa ti nutri?

Mi piace seguire un’alimentazione varia. Perciò, visto che mi sveglio in genere molto presto, la mia primissima colazione è a base di poesia, in genere contemporanea. Mi aiuta ad affrontare bene la giornata. Poi a voler essere saziati sono sicuramente i miei occhi che necessitano di una immersione naturistica, quindi il secondo passo è quello di rivolgere lo sguardo alla natura che mi circonda, al cielo. Bastano piccole cose, particolari, ma sono importantissimi per me. Anche quando abitavo in pieno centro storico a Roma vivevo comunque circondata da piante. Oggi ho il privilegio invece di vivere in un quartiere molto verde e questo mi aiuta tantissimo, soprattutto perchè sono lontana dal classico rumore cittadino, sostituito fortunatamente dal canticchiare degli uccelli.
Ma non mi accontento di tutto ciò perchè sono golosissima ed ho assoluto bisogno di continuare i miei pasti con un’abbondante dose di arte figurativa, quindi spesso mi reco a pranzo in qualche museo, oppure resto a casa a sfogliare qualche bel libro d’arte.  Queste pietanze, però,  mi piacciono  condite con una buona dose d’amicizia che considero una delle forme d’amore più elevate. Infatti, di sera, la cena è dedicata in modo particolare alla condivisione con gli altri, allo scambio, al dialogo;  il tutto accompagnato da un buon bicchiere di musica.
Infine la notte mi necessita una  tisana rilassante, quindi sorseggio qualche buona lettura: i miei scrittori preferiti o altri da scoprire mi accompagnano sempre tra le braccia di Morfeo (a volte invece mi fanno fare mattina!).

Chi vuoi ringraziare?

Di sicuro i miei genitori che mi hanno amato moltissimo e che io ho amato e amo infinitamente. A loro devo molto, mi hanno insegnato veramente il significato reale della parola amore, il senso di fratellanza, di giustizia, la passione per la lettura, l’importanza della cultura e la responsabilità che ne deriva.
Poi vorrei ringraziare i miei maestri, del passato e di oggi: Omero, Virgilio, Properzio, Dante, Petrarca, Tasso, Foscolo, Leopardi, Montale, Ungaretti, Saba, Pasolini, Penna, Rosselli, Maffia padre e figlia, Calandrone, Anedda, Pietro Secchi, Marzia Spinelli, Plinio Perilli, Nina Maroccolo, Anita Napolitano per citarne solo la centesima parte e limitandomi, tra l’altro, solo agli italiani;
Mi sorge spontaneo inoltre ringraziare tutte le persone con le quali,  in un modo o nell’altro,  ho fatto un percorso insieme ed ho condiviso parte della mia vita nei suoi vari aspetti;
Non posso non ringraziare il mio compagno e mio figlio, grandi immensi amori della mia vita.


Che cosa chiedi?

Meno violenza, meno superbia, meno indifferenza. Tre cose che sono strettamente legate al discorso precedente sull’amore. Non possiamo non accorgerci del resto che la nostra società si è evoluta in modo errato, i diritti civili sono ancora del tutto da conquistare nella gran parte del mondo. La maggior parte dei paesi continua a spendere una fortuna nel settore militare e pochissimo per il bene comune, per il sociale. L’umanità è ferma a molti secoli or sono e lungo è il cammino che ancora ci aspetta per poterci definire realmente “civiltà”.

Caffè Letterario Mangiaparole: Presentazione TempoMassimo di Massimo Pacetti - 30 giugno 2011

Massimo Pacetti in primo piano, sul divanetto
Francesco De Girolamo e Cinzia Marulli
Francesco De Girolamo

Francesco De Girolamo

Collezione quaderni di poesia
"Le gemme"


Massimo Pacetti

Francesco De Girolamo, Cinzia Marulli,
Cristiana Lauri al'arpa e Massimo Pacetti



In primo piano "TempoMassimo" di Massimo Pacetti
primo volume della collezione quaderni di poesia "Le gemme"
progetto grafico e immagine di copertina di Andrea Leoni
www.andrealeoni.eu

In primo piano "TempoMassimo" di Massimo Pacetti
primo volume della collezione quaderni di poesia "Le gemme"
progetto grafico e immagine di copertina di Andrea Leoni
www.andrealeoni.eu

Parte del pubblico

parte del pubblico









mercoledì 27 luglio 2011

Annamaria Perrotta: pensieri su “AGAVE” di Cinzia Marulli Ramadori

L'approccio alla poesia di Cinzia Marulli Ramadori è quasi carnale, in quanto le parole, piene di musicalità e di ritmo, si calano nel profondo, nella substantia, in cui tutte le cose esistono e consistono.  La prima sezione è intitolata “Radice”, intesa come origine, grembo dal quale esplode la vita, Mater mea perenne, nel cui seno riposano le generazioni. E quando la materia subisce la corrosione del tempo e delle malattie, allo smarrimento segue un senso di  vuoto  per la perdita di chi ci ha generato. Il conforto nasce  dalla consapevolezza che tutto l'amore ricevuto è ancora intatto nel cuore e rappresenta un grande oceano di ricchezza. L'autrice passa dalla dimensione lirica  ad una vena quasi prosastica, improntata all'impegno civile, per gridare l'orrore per l'odio e per  il silenzio colpevole. “ ...e nel tempo crolleranno le omertà e con esse i prepotenti del dolore, vincerà la fermezza del valore”.
La sezione “Fiore” mi fa pensare alla giovinezza con le intemperanze e le insicurezze, con i silenzi carichi di speranza e le parole che rincorrono i sentimenti.  I versi di Cinzia prendono corpo in una visibilità ricca di percezioni; l'amore di una madre per il figlio che si apre alla vita, linfa che supera la forza di gravità delle radici e nutre, unguento che lenisce i mali dell'anima.
L'approdo alla sezione “Amnios” fa percepire un senso di unità piuttosto profonda con il tempo e il suo fluire, e il cielo e il mare diventano assaggi di infinito....”Gocce di luce brillano sul mare come stelle galleggianti in attesa di tornare nell'immensità del cielo”.
La bravura dell'autrice rende i versi musicali, le assonanze e le consonanze si inseguono in una danza propiziatoria di emozioni. Anche nell'ultima parte,”Aere”,  l'evocazione di suggestioni e ricordi, attraverso lo straripare dell'inchiostro,che rompe le barriere dell'anima, porta il lettore di fronte alla consapevolezza che nel lento e costante fluire della vita, dove gioie e dolori si alternano in una ineluttabile giostra, in fondo c'è la speranza di un giorno migliore.   Ed ecco che la pagina bianca si veste di segni e colori, lasciati dalla penna, antica e scomoda testimone del divenire.
Oltre a testi di impegno civile, in “Agave” ricorrono ritratti di persone care all'autrice, che traccia, con abilità quasi pittorica, lineamenti fisici e morali. “...nel nero cigliare del tuo sguardo si affannano i tormenti
ma è nella lucente esplosione del tuo sorriso che si smarrisce – perfino -
 l'infinito”.
In questa silloge sono ben delineati molti sentimenti che abitano le stagioni della vita, dove le  incertezze, le paure e le delusioni alcune volte ci fanno sentire tutti i limiti della nostra condizione. Ma  in mezzo alle spine della vita possiamo  superare le limitazioni della nostra umana esistenza solo se saremo capaci di andare incontro agli altri,  di amare, di condividere, nonostante le diversità e le avversità.
Solo allora saremo capaci di dare frutti belli e imponenti come il fiore dell'agave, esempio di straordinaria bellezza.

Vito Rizzo su Agave di Cinzia Marulli

Non me ne voglia l’autrice, ma il compito del critico è di fatto svuotato, o quantomeno reso superfluo dalle ottime introduzione e postfazione rispettivamente di Maria Grazia Calandrone  e Plinio Perilli che hanno brillantemente colto l’essenza stessa e la profonda umanità della poesia di Cinzia Marulli Ramadori.
Senza cedere spazio al “bonario risentimento” non resta che cercare di rimarcare o cogliere alcuni degli aspetti che emergono dai versi dell’autrice, lasciando un attimo da parte l’emozione del semplice lettore per forzare e dare spazio al lavoro del pignolo recensore.
Agave è la dimostrazione lampante di come un cuore sensibile ed attento alla vita possa trovare nella poesia lo strumento adatto a dare suono ed armonia alle emozioni.
L’opera si distingue correttamente in quattro parti diverse per contenuti, phatos e stile, più una quinta, “Amore”, composta di una sola poesia che è di fatto una dedica che chiude la raccolta.
Nella prima, Radice, emerge il legame viscerale e profondo che lega l’amore familiare, come madre, come figlia, come donna, dove le vicende biografiche ispirano riflessioni e racconti in versi di attimi di gioia e tristezza vissuti nella loro profonda essenza.
Nella seconda, Fiore, è protagonista la quotidianità degli eventi, dove è racchiuso lo scorrere della vita con le ansie, le sfide, le paure, le gioie - piccole bandiere, quest’ultime, issate in segno di vittoria.
Nella terza, Amnios, i sentimenti e le emozioni del vivere si fanno tutt’uno con la natura, interagiscono con essa, ne colgono il senso più autentico e profondo ed attraverso i versi lo mostrano con disarmante spontaneità, lo rendono quasi palpabile, ne trasmettono a tratti addirittura la fragranza e l’odore.
Nella quarta, Aere, si dà spazio ad una poesia più impegnata, sia socialmente che introspettivamente, laddove l’autrice riesce con delle metafore profonde a far respirare l’essenza stessa della sua poesia e della sua anima.
Agave trasuda profonda umanità ed i versi dell’autrice ne danno corpo e voce al tempo stesso in maniera delicata e profonda, come un vero “chirurgo dell’anima”.

                                                                                               Vito Rizzo

sabato 23 luglio 2011

Dante Maffia su "Dalla lirica al discorso poetico - Storia della poesia italiana (1945-2010) di Giorgio Linguaglossa - Edilet 2011

Giorgio Linguaglossa e Dante Maffia
Gli interventi sporadici sulla poesia italiana dal dopoguerra ai giorni nostri si sono succeduti con una cadenza e una frammentarietà che hanno creato molta confusione ingenerando l’illusione che tutti i gruppetti organizzati dai furbetti dei vari quartieri fossero diventati un pezzo di storia rilevante e da cui non si può prescindere. In realtà le operazioni compiute, quasi tutte, non solo hanno il difetto della faziosità, ma mancano dello sguardo complessivo, quello che permette la visione dell’insieme in una dinamica di scambio e di rifiuto, di scontro e di accettazione, di evoluzione e di involuzione. Anche alcune antologie hanno contribuito all’ipertrofia di autori inesistenti sul piano poetico, ma potenti perché funzionari di grandi case editrici o baroni di università prestigiose. Si pensi a quella curata da Krumm, a quella quasi leghista quasi lombarda curata da Cucchi e Giovanardi, a quella ridicola curata da Daniele Piccini.
Scambi di favori spesso stanno alla base di scelte che tali non sono e i signori curatori non si curano di dare uno sguardo all’editoria minore, di provincia, con il pretesto, questa volta vero,  che ormai si pubblica troppo, come se non ci fossero i mezzi per scrutare e verificare nell’immenso mare gli infiniti poeti. Certo, ci vogliono pazienza, amore, passione, professionalità per distillare la valanga di testi che ogni giorno vedono la luce, ma la storia, ormai è un fatto acquisito dalla storiografia di tutto il mondo, non si fa più soltanto sui profili di Mazzini o di Garibaldi, ma “rovistando” nella microstoria, senza, ovviamente trascurare il “prodotto” offerto dalle sigle imperanti e disinvoltamente poi realizzare antologie o profili letterari sulla base dei volumi editi soltanto da Mondadori, da Einaudi, da Rizzoli e da Garzanti e magari non affacciarsi nemmeno nel catalogo non dico di Manni, di Lepisma, di Carabba, di Scettro del Re, di LietoColle, di Book, di Interlinea, di Tracce, di Città del Sole, di puntoacapo, di Genesi, di Edilet, di Empiria, di Maria Pacini Fazzi, di Azimut, di Joker, di Rubbettino, ma nemmeno di Guanda, di Scheiwiller, di Crocetti, di Marsilio, di Laterza, di Passigli, di Casagrande, di Aragno. È talmente tanta la iattanza, la sopraffazione, l’arroganza che ormai, se si gestisce un qualche potere di peso nelle amministrazioni politiche, nella finanza, nelle università o nell’editoria e, in genere, nella industria, che diventa un diritto uscire nello “Specchio” o nella bianca di Einaudi,  nella collana di Garzanti. A che cosa è dovuta questa fregola di non poeti a voler pubblicare e a volersi sentire parte di un universo che non conta? Mi piacerebbe conoscere il parere di antropologi e di sociologi al riguardo…
Davanti a un quadro così ricco e frastagliato, al cospetto di  violenze continue che i vari Cucchi compiono nei riguardi della poesia difendendo soltanto, come diceva Palazzeschi, i portatori sani di stitichezza poetica (in alcune sue recensioni Cucchi a volte ha dato avvertimento al poeta di guardarsi dalla dovizia espressiva e dalla passione), Giorgio Linguaglossa, dopo centinaia di interventi giornalistici e dopo alcuni libri che hanno cercato di fare il punto su che cosa sta veramente accadendo, scrive una storia della poesia degli ultimi sessantacinque anni. Spartiacque arbitrario e quindi discutibile anche questo, ma da qualcosa bisognava partire per focalizzare una situazione e una condizione ormai divenute insostenibili. Davvero ci vogliono ancora far credere che Majorino sia un poeta, che Zanzotto non sia un manierista vuoto e inutile, che D’Elia non sia un modestissimo epigono di Pasolini, che Zeichen non sia un cabarettista e che Cucchi non sia il furbo alchimista di un piccolo giallo inventato per la moda del momento e che inganna anche Linguaglossa tanto è vero che dedica al Disperso almeno sei pagine. Comunque si deduce, da ciò che afferma Linguaglossa, che se questi signori non facessero i giornalisti o non gestissero un potere redazionale, o altro tipo di potere, nessuno li avrebbe mai pubblicati.
Il metodo di Linguaglossa non è una rigida griglia entro cui devono entrare i poeti per essere presi in considerazione, è come se egli badasse alla qualità dei testi e soprattutto alle esperienze che hanno determinato gusti e scelte. Si tratta di un metodo che spinge a una sorta di manicheismo, non sempre condivisibile, che non ammette repliche alle affermazioni frutto di convinzioni sorte da letture filosofiche e sociologiche e che semina molte perplessità a cominciare dalla centralità assegnata a Franco Fortini, ad Ennio Flaiano e ad Angelo Maria Ripellino individuati come il perno di un’officina che sa cogliere i mutamenti in atto e produrre istanze innovative di carattere universale non solo sul piano formale e stilistico. Anche l’importanza assegnata a Helle Busacca, a Maria Marchesi, e a Maria Rosaria Madonna farà molto parlare.
Linguaglossa inventa delle sue categorie per stigmatizzare momenti particolari di una sua città di poeti che a volte è troppo abitata e altre volte è quasi vuota e diventa spesso un’acrobazia seguirlo per gli anfratti delle questioni del modernismo, del riflusso degli anni ottanta, dell’esaurimento del post-simbolismo. Tuttavia ha il coraggio di affrontare le questioni cruciali della poesia degli ultimi decenni con una visione che si può anche non condividere, ma che mette a fuoco le verità più lampanti e più scottanti del nostro tempo troppo ammalato di dirigentismo. Non solo, nell’ultima parte offre un serto di nomi che scrivono finalmente fuori dalle esigenze della moda imposta dal minimalismo e dal resocontismo banale e ovvio. Una scommessa che potrà vincere o perdere, certo non “impone” maestri preconfezionati, non afferma apoditticamente la priorità di scuole che devono per forza dominare. Registra il fare in atto con una conoscenza vasta del territorio poetico e con un intuito che percepisce le fibrillazioni in divenire.
Credo che da questo libro bisognerà ripartire per fare luce, al più presto, sulle reali esigenze della poesia e su chi sono veramente i poeti che hanno saputo interpretare la sensibilità del nostro tempo. Alfonso Berardinelli ci ha provato anni fa dicendo pane al pane e vino al vino, ma poi il fascino del potere lo ha riafferrato e ha fatto marcia indietro.
Le chiacchiere sulla poesia si sono sempre disperse nel nulla col trascorrere degli anni e sono rimasti i testi a parlare, a testimoniare di una civiltà e di una sensibilità che travalicano la storia e la rendono momento perenne. Certo i giochi di prestigio vuoti  e contraddittori di un Franco Loi, che Linguaglossa cita soltanto di sfuggita ma che ha prodotto molta confusione nel panorama della poesia degli ultimi decenni, quelli di Edoardo Cacciatore, della Insana, di De Signoribus, di Ballerini o le scopiazzature di Milo De Angelis non andranno da nessuna parte. Il tempo è galantuomo, ma critici coraggiosi come Linguaglossa aprono il varco alla chiarezza storiografica e a un dibattito che mi auguro leale, sempre legato ai testi, senza diventare una palestra teorica di buone intenzioni o di assiomi insulsi.
“… Ecco di che stupirci: abbiamo molti più poeti che giudici e interpreti di poesia. E’ più facile farla che riconoscerla. Fino a un certo basso livello, la si può giudicare in base ai precetti e al mestiere. Ma la buona, la somma, la divina, è al di sopra delle regole e della ragione. Chiunque ne discerna la bellezza con sguardo fermo e tranquillo, non la vede più di quanto veda lo splendore d’un lampo. Essa non seduce il nostro giudizio; lo rapisce e lo devasta”.

Dante Maffia

venerdì 22 luglio 2011

Monica Martinelli su Agave di Cinzia Marulli

Da Neobar riporto il commento di Monica Martinelli
Agave su Neobar


Cosa posso aggiungere ai commenti che mi hanno preceduta, così pieni di sentimenti e affetto, che hanno perfettamente delineato il libro e lo spirito di Cinzia Marulli? Prendo spunto dal commento di Nina Maroccolo – in verità è molto più di un commento, giacché oltre ad essere un omaggio all’autrice è una bellissima nota critica. Sono d’accordo con lei e specie quando scrive: “…La poesia di Cinzia raggiunge una concretezza sublime..”. “Agave” è, più che un libro sull’amore (inteso in senso lato), un libro d’amore, ed un libro “dedicato” perché Cinzia, come è stato giustamente ribadito, è una persona che “si dà” nella poesia così come nella vita, con tutta la sua energia e la sua pulsante vitalità. Non c’è affatto banalità nei suoi versi. C’è invece grande profondità e l’accesa sensibilità di una donna (materna) “sospesa fra cielo e terra”. Una donna “di catene avvinta” che dedica i suoi versi a chi ama e agli elementi della natura che più e tanto sono radicati in lei. Consapevole, con filosofica saggezza, delle due facce della medaglia della vita, che laddove c’è gioia si apposta un inevitabile dolore e che un fiore subirà un imminente appassimento. Così l’agave rappresenta proprio questo, la vita che sfiorisce e poi muore..perché tutte le cose che sono, giusto o no che sia, hanno una fine. Ma quando sbocciano lasciano un segno, come l’Agave di Cinzia.
                                                                                                                                                                                Monica Martinelli

martedì 19 luglio 2011

Michela Zanarella: la potenza del verso

Non c’è pacatezza nella poesia di Michela Zanarella perchè il suo verso è potente, incisivo, affilatissimo. Ed è la nostra anima, il nostro sentire che viene dolcemente graffiato dalle sue poesie: sono sorsi di lacrime che dissetano la coscienza più pura dell’uomo.
Non si può non provare emozione leggendo le sue poesie, non sentire un fremito nell’anima; esse parlano di cose infinite  e anche lì, dove sembrano contestualizzate, il loro respiro è invece universale, cosmico.
Lascio il posto ai suoi versi, perchè per un poeta è la sua 
poesia a parlare.

                                                               Cinzia Marulli Ramadori


COME IL SOLDATO
(A Pier Paolo Pasolini)

Come il soldato
che devolve il suo destino
alle polveri,
tu hai appeso le tue gocce
di vita
ad un pavimento
di sillabe.
Nel concime di un tempo superbo,
ti sei trovato poeta
di una terra ruvida e sorda,
solo tra i seni
di un’eternità sporca.
Avresti voluto
non abitare gli orizzonti
con la morte,
avresti voluto cibarti
di candori materni
e periferie gonfie
d’umana memoria.


IL RUMORE DELLA POLVERE

Non c'è che il rumore della polvere
in questa strada bianca
decorata da croci accecate
da polline astratto, rosso scarlatto.
Poco il sole che si concede
agli occhi danzanti del destino.
E' l'azzurro a storcere le labbra
e a stringere a sé il vuoto.
Questa terra porta l'amaro
di docili fiati d'ebrei che si svuotano
tra capricci d'arie spinate,
questa terra somiglia
alle vene di un tramonto
costretto a brindare col male
e a tingersi il volto di nebbia.
Rastrellano carni e ghiaie
i gas alle baracche,
numeri in stoffe zebrate
si abituano in fretta
a profili di lager.
Salive adulte e bambine
inciampano rapide in uno sparo.
Non c'è più tempo per esistere.
Nudi orrori dormono in fila
accanto alla neve.



MEDITERRANEO
(ispirata alle musiche di Gianni Gandi)

Acque materne battezzano
catene di scogli,
il sole ha radunato il suono
di nudi sensi di luce in schiuma.
In un viaggio di ciglia
Il Mediterraneo si mescola
alle mie narici,
scioglie il suo azzurro
dietro solstizi di solitudine.
Il mare raccoglie preghiere
dai fondali,
sazia di meraviglia l’inferno
di zolle indurite dalle croci.
Sulla sabbia rimbalzano eternità,
chiome di mandorli e conchiglie assetate.
Il bianco dell’aria
si riempie alla foce
di fiati di musica.

Michela Zanarella
Michela Zanarella è nata a Cittadella, Padova, il 01-07-1980.
Inizia a scrivere poesie nel 2004. Personalità di cultura e poeti locali si accorgono del talento naturale che pone nell’esprimere la vita in versi ed infatti ottiene, da subito, buoni risultati convalidati da premi nazionali ed internazionali. Le sue poesie vengono pubblicate in antologie di poesia a tiratura nazionale.
I suoi versi sono tradotti in inglese, francese, spagnolo, arabo.
Pubblica la sua prima raccolta di Poesie dal titolo “Credo” con l'associazione culturale MeEdusa ottenendo un ottimo successo di critica ed il consenso dei lettori come testimoniano le moltissime copie vendute del libro.
Partecipa attivamente alla diffusione della poesia intesa sia come mezzo di comunicazione sia come elemento di alta cultura nel dibattito tra i giovani.
È stata ospite della trasmissione radiofonica condotta da Rosanna Perozzo su Radio Cooperativa di Padova.
Alcuni articoli specifici sulla sua vocazione poetica sono presenti nei quotidiani  Il Mattino di Padova, Il Gazzettino di Padova, Il Padova, La Voce dei Berici; in settimanali come Periodico Italiano; in trimestrali come Orizzonti, e sul web.
Ha partecipato alla trasmissione televisiva "Poeti e Poesia" di Elio Pecora su Televita.
E' socia onoraria dell’associazione U.I.S.P. “Infiniti Sogni”.
 “Risvegli”, ed. Nuovi Poeti, è la sua seconda raccolta poetica.
Nel giugno del 2009 pubblica  il terzo libro di poesie "vita, infinito, paradisi" con le Edizioni  Stravagario.
A dicembre del 2009 le Edizioni GDS pubblicano la sua prima raccolta di racconti dal titolo “Convivendo con le nuvole” che ottiene un’ampia diffusione sul web.
Ha partecipato come membro di giuria al premio "Ebbri di poesia 2009" organizzato da Irene Sparagna. Ha ottenuto il terzo posto nella categoria “poesia edita” al premio "Memorial Gennaro Sparagna 2009".
È stata nella Commissione di Giuria del Premio Internazionale “Città di Torvaianica” 2010.
È prima classificata al Premio “pubblica con noi 2011 della Fara Edizioni.
Inoltre ha curato la prefazione dei libri di Tiziana Mignosa, “Le sette favole per imparare a sorridere” Ediz. Miele; di Franco Pucci, “Il volo del gabbiano” , Ediz. Narrativa & Poesia.
A gennaio 2011 la Sangel Edizioni pubblica la sua ultima silloge “SENSUALITÀ, poesie d’amore d’amare”.
Il Teatro Argot Studio, a Roma, il 18 marzo 2011, alle ore 17,30, manda in scena Risveglio di primavera in poesia,Michela Zanarella in recital” con la sponsorizzazione della Provincia di Roma.
Numerose emittenti Radio nazionali e della Comunità Europea la intervistano in diretta. Articoli, recensioni, interviste vengono dedicate a lei.
Quattro sue poesie sono pubblicate nel sito ufficiale di Pier Paolo Pasolini ed altrettante all'interno del sito ufficiale di Alda Merini. Ha ottenuto recentemente il secondo posto al premio "Donne...sulle tracce di Eva, è finalista al You Artist Festival 2011 di Roma; è tra i vincitori del Premio Internazionale Progetto Sud 2033 a Palermo.
Sta scrivendo il suo primo romanzo. E' la responsabile dei siti www.apostrofando.it, www.screensoda.it, www.iltrovaevento.it.

sabato 16 luglio 2011

Audiopoesia - Passeggiata nell'Orto Botanico

Clicca qui per ascoltare l'audio

Passeggiata nell'Orto Botanico (in ricordo di una foglia gialla)  dalla raccolta Agave di Cinzia Marulli (LietoColle 2011) .
Musica e Post-produzione: Carlo Leoni (Gatestudio Records)
Voce: Cinzia Marulli

venerdì 15 luglio 2011

La poesia e le nuvole: Giorgio Linguaglossa su Agave di Cinzia Marulli Ra...

La poesia e le nuvole: Giorgio Linguaglossa su Agave di Cinzia Marulli Ra...: "Cinzia Marulli Ramadori Agave Faloppio, LietoColle, 2011 Si sa che l’autenticità ab-soluta , immediata produce, da sempre, fraseologie cos..."

Cinzia Marulli: "Pensieri tra le pagine" su Paradigma di Francesco De Girolamo (LietoColle 2010)

Non è facile esprimere ciò che la poesia di Francesco De Girolamo suscita. Si rischia di limitarne il senso, di restringere i pensieri, le emozioni, il sentire intimo. Francesco abbraccia la poesia con tutto se stesso e nella proclamazione del suo “non essere” egli invece crea il suo”io” attraverso un profondissimo mondo poetico.
Paradigma (LietoColle 2010) di Francesco De Girolamo è un libro che evidenzia il percorso poetico dell’autore. La prima parte ripresenta poesie già edite e scritte a partire dal 1997. In tale sezione la poetica è intimamente radicata nell’affermazione della negazione (mi si perdoni il gioco di parole). Vi è un “io” messo al bando: dunque mi hai trovato,/mi hai snidato, alla fine/pur nascosto com’ero in una luce non mia,/....(dalla poesia “Sette volte”), e ancora Quello che vedo non è quello che penso;/quello che dico non è quello che sento;/i miei amici sono i miei nemici;/l’io che non sono ha ucciso l’io che ero./... (dalla poesia “Mentite spoglie”) eppure proprio in tale consapevole assenza dell’”io” si materializza il desiderio inconscio di esistere e ciò è ben espresso nei versi tratti dalla poesia “Passaggio”: E’ da qui che devo passare/se voglio andare oltre, non so dove;/che possa dire infine: “Ci sono!”/... Francesco De Girolamo traccia il sentiero dell’esistenza dell’uomo che deve perdersi per ritrovarsi e si inserisce con il suo sentire nella spiritualità contemporanea che trova nella perdizione, nell’assenza un punto determinante. Il suo è un vuoto cosmico ed è così forte l’inquietudine che lo porta ad implorare nella poesia”Ultima Grazia” con tutte le mie forze/ho pregato Dio di non esistere,/di non squartami più il cuore sordo/col suo sussurro di vetro in tempesta,/di non trafiggermi più con lo sguardo/delle sue gelide stelle inquiete,/di non tendere più le sue mani/nel labirinto del mio placido abisso./... Quindi il vuoto, l’assenza dell’”io” si concretizza in una crisi spirituale oltre che intimistica. Non c’è alcuna cosa in cui credere. Francesco De Girolamo e, per esteso, l’essere umano è davanti al baratro della sua non esistenza o forse dell’insignificanza della sua presenza. Non riesco, a questo punto, a non citare uno dei versi (non potrebbe trattarsi d’altro) più famosi della letteratura mondiale: essere o non essere?  Shakespeare pone Amleto di fronte ad una lotta dualistica sull’affermazione o meno della propria esistenza. De Girolamo pone se stesso di fronte alla consapevolezza di un io scomparso, ma evidenzia, enfatizza il profondissimo desiderio, in fine,  di dire “Ci sono!”.
La seconda sezione di Paradigma riporta poesie inedite scritte tra il 2002 ed il 2009 e si apre con un testo di grande significanza, “Alla paura”, nel quale il poeta esprime il desiderio di libertà da se stesso, dalle sue paure, dal dolore: “ti chiedo perdono se talvolta fingo di essere/ un altro, se nascondo il mio viso, se il mio nome/dimentico, se la mia sorte rinnego, se dubito/ancora del mio destino... Quindi l’inquietudine perdura nel tempo e nella poesia, ma ora non c’è la negazione dell’“io” quanto invece il desiderio di essere un “ altro io” per non soffrire l’assenza, perchè si riesce a essere se stessi solo quando si è affrancati dalla sofferenza e dalla paura. Paura che, come in un paradosso taoista, si identifica con il proprio “io”(.../Io sono la mia paura.../...).
Forse, influenzata dai miei studi sino-indologici, sono portata naturalmente a cercare le affinità con il mondo orientale, ma nella poesia di Francesco De Girolamo ci sono veramente molti punti di contatto con la filosofia taoista. Lao Tse apre il libro per eccellenza del Taoismo, il Tao Tze Ching con la frase”il Tao di cui si parla non è il vero Tao” affermando quindi che nell’apparente paradosso risiede invece il fondamento di quella dualità altrimenti inspiegabile che è insita nel divenire del mondo e nella natura umana e di tutte le cose. Così Francesco usa lo stesso sistema per esprime concetti altrimenti inesprimibili e trovo veramente molto apprezzabile questo, forse inconscio, avvicinarsi alla cultura orientale così profondamente diversa dalla nostra perchè sta ad indicare che la natura umana si ritrova ovunque nella sua essenza, che non ci sono barriere temporali, culturali, storiche e spaziali che possano influenzarla.
Ma la poesia di De Girolamo offre tanti spunti di lettura e di riflessione come ad esempio il tema dell’abbandono, della sacralità e della fede, dei legami familiari e affettivi  e non secondario è anche il suo sguardo sull’altro da sè. Nella poesia “Nascondiglio” il poeta, con infinita delicatezza ci racconta l’omosessualità impersonata da due ragazzine di quindici anni e ben evidenzia con i suoi versi il pudore, il timore, la segretezza con cui è vissuta, spesso, tale condizione: ... Nel vicolo deserto, sotto il gelido sole,/chi mai violava quella solitudine?/Che stretta al cuore vederle da lontano/ interrompere un bacio al rumore dei miei passi;/... Quanta dolcezza c’è in questi versi di De Girolamo! E’ l’animo del poeta che, sensibilissimo, soffre addirittura per essere stato involontariamente e inavvertitamente la causa disturbatrice di un attimo di intimo e segreto amore!
E’ sempre preziosa la poesia che osa andare oltre se stessi, che si estende all’umanità e che ne evidenzia il vissuto interiore e sociale ed anche in questo Francesco si è donato come poeta lasciandoci versi di grande valore.
In ultimo, ma non per ultimo, è importante evidenziare la metrica utilizzata da De Girolamo che vede spesso l’uso sapiente dell’endecasillabo e del settenario, nonché il ricorso all’enjambement quale mezzo per la creazione di un ritmo personalissimo, una sorta di sospensione del pensiero.
Paradigma è dunque un libro complesso, intenso, pieno di cose buone. Un libro da leggere e rileggere.





martedì 12 luglio 2011

TempoMassimo di Massimo Pacetti

Con Massimo Pacetti si inaugura la nuova collezione di quaderni di poesia “Le gemme” e ciò non a caso. Massimo infatti è autore prolifico ed ha già al suo attivo molte raccolte, ma soprattutto è un autore perfettamente incardinato nella contemporaneità.
La sua poesia è caratterizzata da una linguaggio immediato e fluido, di diretta comprensione anche se non esclude la possibilità, anzi la necessità, di una lettura stratificata.  
Infinite sono le argomentazioni affrontate della poesia del Pacetti ed in particolare sono stati evidenziati due temi fondamentali ed emergenti: il dolore e il coraggio. Credo, tuttavia, che non si possa limitarne l’ampiezza con dettami riduttivi, forse sarebbe più giusto dire che la poesia di Massimo Pacetti è la “poesia della vita” nell’accezione più ampia possibile che si possa dare a tale definizione.
Questa raccolta si differenzia però radicalmente da tutte le altre perché affronta, anzi evidenzia, una tematica che fino ad ora non era stata mai rilevata nella poetica del Pacetti, ovvero la tematica del “tempo”.  Il tempo inteso proprio come un protagonista, come un personaggio che interpreta i suoi molteplici significati.
Da qui nasce anche il titolo di questa raccolta: “TempoMassimo”quale estrema sintesi lessicale di un concetto invece vastissimo visto e interpretato dall’animo poetico di Massimo Pacetti. Così nella poesia “Incontrarsi” il tempo acquista una dimensione tangibile, in  “I gladiatori” troviamo il tempo della memoria e del ricordo, ma anche il tempo del cambiamento, in “San Simeone” vi è invece una sospensione temporale che trascende il tempo fisico, in “6 agosto ore 8.15” la riflessione poetica si poggia sul senso della caducità e della distruzione, in “Tutto era bello” c’è il compiacimento del ricordo legato al tempo della giovinezza.
Il tempo è un concetto sul quale sono stati scritti non fiumi, ma mari d’inchiostro a partire da Aristotele che lo definì come “l’ordine misurabile del movimento”, passando per Newton che  distinse il Tempo Assoluto da quello Relativo, giungendo ad Hegel per il quale il tempo è “come il principio medesimo dell’io, della pura autocoscienza” trovando il suo fondamento in Plotino e in Sant’Agostino con i quali, appunto, ebbe inizio la concezione del Tempo come intuizione del divenire che porta in sè la riduzione del tempo alla coscienza. Infatti Sant’Agostino diceva: “non ci sono tre tempi, passato, presente e futuro, ma soltanto tre presenti, il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro”.
In questa raccolta di poesie, dunque, Massimo Pacetti ci pone davanti alla sua particolare concezione del tempo e la trasforma in poesia, essendo, tale concezione del tempo, tanto immateriale quanto inscindibile dalla coscienza dell’uomo.
                                                    

Cinzia Marulli Ramadori


 Video della presentazione di TempoMassimo al Mangiaparole 
(relatori: Francesco De Girolamo e Cinzia Marulli)


Alcune poesie estratte da TempoMassimo:

 Incontrarsi


Sai, ti ho vista
dopo tanto tempo
e non era scomparso
l’amore
era scomparso il tempo;
soltanto il tempo




San Simeone

E’ apparso un uomo
a cavallo
nel gelo dell’alba
con la kefiah sul volto

 Montava a pelo
con due bisacce militari
fra le pietre squadrate
e le colonne, e gli altari
                      di San Simeone
Mille anni erano
                 trascorsi
e fra i pini di Aleppo
sedersi
era come
      salire in cielo.


 Il bruco

Un bruco passeggia
sopra una foglia;
giallo, pigramente
si guarda intorno.
Non sa come
poter scendere, irritato
pian, piano
tastando la presa
si avvia sul ramo,
oscilla, si ferma,
riprende il cammino,
e scende di ramo
in ramo
foglia dopo foglia,
con calma minuziosa.
E del tempo che scorre
al bruco, poco importa.


 Beduina

Si avvicina una donna coperta
di sporchi, antichi, stinti abiti neri:
piccolo gnomo nel deserto, mi guarda.
So, che mi guarda;
Gli posso vedere solo gli occhi,
un brandello si pelle:
                    rughe – rughe – rughe
                    senza tempo – senza anni.
Guarda i bambini e vende
collane grezze, sudice
di informi, incolori pietruzze.
Non riesco a toccarle la mano, né le collane.
E lei mi guarda
ombra delle sabbie
mi guarda, mi guarda dentro
vorrebbe parlare
allunga la mano;
Anch’io vorrei parlare
scuoto la testa;
non c’è il tempo
sorrido
altre ombre ci separano
voci, suoni, richiami;
Ci allontaniamo
e il nostro destino si compie
                 senza sapere chi siamo.




Annamaria Ferramosca su Agave di Cinzia Marulli

Commento tratto da Neobar di Abele Longo


Entro in questa stanza dopo un paio d’ore dall’aver incontrato Cinzia, parlato per la prima volta a lungo con lei come rivivendo una sorellanza rimasta sconosciuta in tutti questi anni, ma che oggi ha preso consistenza calda dalla sua vicinanza. Avevo letto Agave e gliene avevo parlato, e ne dico qui, ora che le maglie della sua poesia trovano ancora più senso nella luce che emana dai gesti, dalla sua vita raccontata. Trovo profondamente vera l’asserzione di Maria Grazia Calandrone in prefazione: in Cinzia non c’è distanza tra la vita e i testi. E’ questo il senso profondo dello scrivere, così semplice, eppure così arduo per i più, così labile. E anche se Cinzia, umile ed esageratamente severa con sè stessa prende un po’ le distanze dall’andamento stilistico , questi suoi versi d’esordio incantano per limpidezza espressiva, in quel suo voler abbracciare e offrire la totalità delle proprie visioni e dei sentimenti, come accade spesso nelle prime raccolte. Ed è una scrittura che sentiamo intensa e vicinissima, che attraversa con profonda sincerità il turbinare dei giorni di una donna, il suo sentirsi figlia e madre. una donna che prende coscienza e insieme indica- con leggerezza- nella simbologia dell’agave, il nostro effimero destino. Si resta con la voglia di leggerla ancora.

sabato 9 luglio 2011

Nina Maroccolo su Agave di Cinzia Marulli

Quando ci troviamo di fronte a una pagina come quella di Cinzia Marulli, è un attimo scivolare nella voragine superficiale, quanto insensata, del: “Scrive in modo facile, semplicistico, diretto”. Accenti preliminari del tutto errati. Almeno per me.
Nella storia della letteratura molti dei “grandi” sono stati così tatuati, quando possedevano, al contrario, un tono [dono] di scrittura solo “apparentemente” semplice e diretto.
Cito, fra gli italiani, Attilio Bertolucci. Per gli stranieri: Kikuo Takano.
Quando leggo Cinzia penso a loro, ovviamente nella diversità stilistica e tematica che sono proprie di una “voce”.
La loro profondità era infinita. Sapevano cogliere il minimo dettaglio per poi trasformarlo mediante un prodigio alchemico. Quel dettaglio [quello, non un altro] era il pretesto per arrivare al giusto compimento dell’Idea.
In Cinzia si compiono riti di passaggio: idea – ideale – idealità – concetto / nascita – vita – morte, e poi nascita – vita – morte. Trascendere parole-chiave, immagini-chiave, concetti-chiave: senza usare il chiavistello come finalità.
La poesia di Cinzia raggiunge una concretezza sublime. L’emanazione di quei valori [lacci d'amore universale] è conquista durissima. Numerosi sono i passaggi, e numerosi sono i testi, dove l’autrice dà cenni a una materica, drammatica espressività.
Lo fa giungendoci soffio, sospiro, battito d’ala… sospesa tra cielo e terra.
A volte mi chiedo: Quale “voce” sceglierà? L’altezza soprana del cielo o il precipizio baritonale sul suolo della realtà?
E’ bella, Cinzia, quando raggiunge il silenzio del Fuji. Un silenzio rarefatto, impensabile, se ci soffermiamo su quell’orchestrale amabile sorriso; o sulla genesi della speranza impressa sul suo volto.
I versi aperti sono chicchi di riso sul palmo della sua poetica. Ce li consegna con umiltà, inondandoci di amore. Dietro questa forte necessità di amare [e si ama così tanto, credo, per l'inconsapevole necessità d'essere amati] io sento, comunque, una donna che ha scelto l’agave come simbolo.
Il duale Vita/Morte s’equiparano come non mai.
*
Lasciati attraversare dall’acqua.
Lasciati attraversare.
Atman.
Un abbraccio,
Nina***