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mercoledì 30 agosto 2017

ParolaPoesia: la ribellione del verso nella poesia di Stefania di Lino - prefazione a "La parola detta" (Ed. La Vita Felice 2017)

Scrivere della poesia di Stefania Di Lino significa affrontare un percorso complesso che necessita di una mente libera, scevra di precostruzioni mentali.  Non siamo davanti a una poesia semplice. Essa si configura fortemente stratificata e proprio per questo assume connotazioni e significati diversi e paralleli. E’ una poesia che parte dal dolore per giungere al bene come mezzo di guarigione e speranza: si aprano al cielo e al vento/ le parole sollevate dal fango/ commistione impura della terra/ che talvolta radici vanno recise / talvolta / e lasciate a marcire nel buio cavo di un rancore // non vi è alcun rossore a giustificare abbandono / se premono e urgono le mani / a modellare costruzione / a segnalare – ed è colore rosso - / lo spurgo cristallino di un rancore/ l’affondo fatto di carne // ci sarà un tempo migliore da espugnare / sarà cura, allora, sarà grazia,
Molto spesso vengono usati verbi al futuro che si contrappongono a periodi di presente in un dualismo costante tra ora e dopo, nero e luce, realtà e aspirazione. Il presente e la realtà sono coperti da un velo buio, rappresentano il dolore, le difficoltà; nel futuro si apre la via, si torna alla luce. Si tratta di una poesia dolorosa, ma pervasa da una grande speranza che diviene necessaria e onirica aspirazione per superare il laceramento dell’animo: avremo ancora sguardi / da donare al mondo / e gesti protesi all’amore / avremo ancora bocche / da cui far sgorgare / come bambini sorrisi / e avremo becchi generosi / precisi / con cui nutrire / e ali grandi per volteggiare / giocare planare / appagati su rami / di alberi grandi sapienti / conosceremo le stagioni / ne sapremo il fiorire,
Vi è all’interno della poesia della Di Lino una sorta di lucida consapevolezza sulla necessità di un lavoro costante, intenso, profondo per raggiungere un’esistenza che vada oltre l’apparente quotidianità. E’ un continuo scavare alla ricerca del senso universale dell’esistere: e i frammenti restano spaiati / come i calzini bucati / di questo nano secondo di esistenza / e son fiotti di sangue schizzati / sulle piastrelle nuove / della cucina / che fatica stamattina / dover ripulire le tracce / dai piccoli silenziosi omicidi / perpetrati da ogni giorno che passa,
C’è in Stefania un amore profondo per le “parole”, una ricerca di salvezza tramite esse, una fede disperata verso il loro potere salvifico, forse un rifugio dove il macchiare d’inchiostro la sofferenza porti a una sorta di sparizione del dolore. Un’aspirazione, senz’altro, espressa con un condizionale che aumenta la tensione e il desiderio: se le parole fossero surrogato/ medicamento elaborato / di ferite leccate lenite/ - come fa un cane con le sue ferite - / se scrivere fosse sempre prelevare / cellule del nerbo osseo dorsale / i versi sarebbero salvezza, unguento / diventerebbero certezza, medicamento 
Vorrei attirare l’attenzione su una poesia in particolare perché affronta una tematica a me molto cara. E’ una poesia che parla della madre. Topos sin troppo famoso si potrebbe pensare. Ma non esattamente, infatti a parlare della madre sono stati soprattutto scrittori e poeti uomini. Ben diversa è la situazione invece nell’ambito della scrittura di una donna nella quale la figura della madre diviene molto più umana, perdendo quell’aurea di mitizzazione. Pensiamo ad esempio alla poesia alla madre di Montale, o a quella di Ungaretti, alla famosissima supplica alla madre di Pasolini. Testi meravigliosi, ma che rappresentano il punto di vista di un figlio maschio nei confronti della propria madre. Ma lo sguardo da figlia a madre è ben diverso. Esse sono entrambe. Una madre è stata figlia e la figlia è o sarà madre, o comunque può potenzialmente diventarlo. C’è dunque una visione diversa che porta inevitabilmente a guardare il ruolo con occhi realisti, a volte impietosi come se perdonare la madre fosse perdonare se stesse. Nella poesia di Stefania ci troviamo davanti a un madre di un’umanità disarmante. La descrizione diviene fisica, ma tramite la materia Stefania, da vera grande artista visiva, raggiunge l’animo nel profondo. Si tratta di una visione che trasmette un sentimento di grande pietà. Un sentimento attraverso il quale, forse, Stefania per la prima volta trova veramente sua madre. Cito solo alcuni versi di questa fulgida poesia e che essi siano testimonianza di altissima poesia: …/ nel sempre più ristretto ambito delle sue clavicole/…. / mia madre è stata una donna del novecento - / era ormai vuota dentro / … semmai un giorno fosse stata intera / presa come era da una lacerazione profonda / ….  mia madre era una donna cava/ con le sue ossa cave/ su zampette da uccellino,   Stefania riesce, dunque, attraverso la descrizione fisica della madre malata a descrivere per intiero il suo rapporto con lei lasciando comunque in noi lettori un pensiero di dolce compassione.
Vi accorgerete che a ogni lettura dei testi di Stefania vi si trovano significati, evocazioni, immagini nuove, via via sempre più profonde. Sicuramente si tratta di una poesia intrisa di vita e di pensiero. Non è una costruzione mentale, ma la materializzazione di un vissuto. Il libro di Stefania è complesso, articolato, è il risultato di una ricerca costante, abbraccia l’esistenza nella sua interezza spingendosi oltre, in dimensioni altre e a volte anche oniriche. E’ un’esperienza profonda che ci porta a esaminare il nostro io individuale e il noi universale con prospettive diverse, ma sempre, sempre pervase da un’aspirazione salvifica. Si potrebbe continuare a scrivere centinaia di pagine sulle tematiche che ritroviamo nella poesia di Stefania, ma io debbo limitarmi a una prefazione e non mi è concesso di svelare troppo.
Desidero invece scrivere, sia pur brevemente, qualcosa circa la tecnica della poetessa. Credo si possa dire che Stefania Di Lino nega il verso nel senso tradizionale del termine e crea un modo originale di collocare le parole sul foglio. Il verso, perché tale è, non è definito da un “a capo” ma da un segno grafico singolo o doppio che dona respiro non solo alla lettura, ma al senso stesso della poesia.  Siamo di fronte all’opera di una donna-artista che prende in mano la propria poesia e la modella fornendole una forma estetica e contenutistica insieme.
E’ come se tutto fluisse senza interruzione apparente, come se le parole fossero un corso d’acqua nel quale scogli sparsi, ma non a caso, tentassero di limitarne il flusso, senza però riuscirvi e, al termine, lì dove il fiume si getta nel mare, a volte troviamo un luogo inatteso simboleggiato, ad esempio, da una virgola posta alla fine del dettato come  a dire che in realtà tale fine non esiste realmente.
Si sente, nei versi di Stefania, una conoscenza profonda della poesia, sicuramente frutto di anni e anni di letture e non cela, certo, la poetessa la sua ammirazione per coloro che, credo, abbia considerato suoi maestri, inserendo all’interno dei suoi versi molte figure retoriche che ci collegano alla migliore tradizione.  Così troviamo l’allegoria, l’anafora, l’allitterazione, l’analessi, la metafora, l’endiadi ecc… A volte pure, altre volte con variazioni personali. Ma sempre nella poesia di Stefania troviamo un ritmo intenso che in alcuni casi arriva a trasformare in canto i suoi versi.
Buona lettura.
Cinzia Marulli




Stefania Di Lino nata a Roma, dove vive e lavora.
Allieva dello scultore Pericle Fazzini, e del poeta, critico d’arte Cesare Vivaldi, presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, si specializza alla Calcografia Nazionale del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, e si abilita all’Insegnamento per i Licei, occupandosi anche di formazione. è presente da anni in numerose manifestazioni artistico letterarie, coniugando spesso la parola con l’immagine in opere di Visual Poetry.
Da anni partecipa a reading pubblici di poesia.
Nel 2012 pubblica la sua prima raccolta di poesie Percorsi di vetro (DeComporre Edizioni). è presente in numerose antologie e riviste letterarie, tra cui I fiori del male (2016).
Con un suo testo critico partecipa al X Festival Mondiale di Poesia, Caracas, in Venezuela; nel 2014 alcuni suoi testi vengono selezionati dall’unesco di Torino, per la giornata de «Etica Globale e Pari Opportunità: il contributo delle donne allo sviluppo dell’Europa e del Mediterraneo», pubblicati e tradotti in diverse lingue.
Nel 2015, nell’ambito del programma dedicato alla Rassegna Poetica, presso la Galleria Biffi di Piacenza, con il poeta Franco Di Carlo, partecipa con una sua performance denominata Dialoghi poetici.





lunedì 24 luglio 2017

ParolaPoesia: Il senso storico della poesia - Democrazia di Alberto Toni (Ed. La Vita Felice - Collana Sguardi 2011)

Alberto Toni - foto di Dino Ignani
Riporto di seguito una mia nota di lettura a Democrazia di Alberto Toni e un cui stralcio fu pubblicato sul n. 24 della rivisita La Mosca.
Cinzia Marulli

Si tratta, come del resto ci suggerisce il titolo “Democrazia” di un poemetto di carattere civile che riporta all’inizio una introduzione nota-critica di Gabriela Fantato (curatrice della collana) e una post-fazione di Elio Pecora.
Il Poemetto è diviso in cinque parti.
La prima parte incomincia con una citazione tratta dal romanzo “Primavera di bellezza”di Beppe Fenoglio («Hai un’idea dei morti? Il bollettino dell’una dovrebbe già parlarne.»/«Vuoi che in un’ora li contino tutti?»/«Non lo riveleranno mai, credi a me, mai. »/ «Uno almeno di quei bestioni lo avranno abbattuto?): che ci introduce nella seconda guerra mondiale, ci rappresenta l’orrore della guerra con i suoi morti, ma anche la sua ipocrisia (non ce lo riveleranno mai). Tuttavia non è esatto definire un tempo perché una delle sensazioni più forti che si provano leggendo il poemetto di Toni è proprio quella di ritrovarsi oltre il tempo, in una dimensione atemporale. La guerra, dunque, poco importa se è la seconda guerra mondiale, è la Guerra, il concetto stesso nella sua essenza ad essere preso in esame, sono tutte le guerre del mondo, quelle passate e quelle potenzialmente future. Qui, in questa prima parte la guerra viene esaminata, sezionata, condannata e perfino superata con una visione nel bene e nella speranza, non siamo infatti di fronte ad una poesia civile fine a se stessa, ma ad una poesia che definirei anche di “esortazione” nella quale è forte il senso della coscienza e la consapevolezza del bene da conquistare, un bene visto come fine verso il quale tendere e in cui credere: la bontà dedicata all’eroe nell’atto/supremo, il figlio ritrova il padre,/con lui scrive la legge, la ritaglia a/misura d’uomo, come non mai, una/fonte.
Appare la figura delle “madri” portatrici di speranza, di nuove aperture, già consapevoli dell’assurdità della guerra: Qualcuno diceva la salvezza/ha bisogno del fuoco, le madri/in gesti di stizza verso i soldati/che non capiscono. Dentro la/tenda il puzzo è insopportabile./
Colpisce la poesia di Alberto Toni perché crea suggestioni. E’ una poesia che penetra, entra dentro, s’insinua, è una poesia che si “sente”, smuove le sensazioni, i sentimenti, le percezioni: non ci descrive la guerra, ce la fa vivere.
Anche nella seconda parte l’apertura ci porta alla fine del conflitto: /…Un ragazzo sventola la bandiera/, ma soprattutto ci pone davanti a un fatto determinante: Democrazia è pazienza…./ In questo verso, in questa sintesi esemplare è racchiuso tutto il lavoro, il sacrificio, il credo, gli ideali che sono alla base della democrazia. La democrazia è una lunga, difficile e dolorosa conquista. Alberto Toni ci ne espone il senso profondo: Una cupola?Una guglia?Trova tu la consonanza/tra distruzione e pietra, tra fenomenali/conseguenze e cerchi magici della/comunità. La metteremo ai voti,/onesti, come abbiamo sempre fatto con gli altri./
Toni dunque ci ricorda che la democrazia non si fonda solo sulla conquista della libertà, ma che ha come fondamento l’onestà. Pazienza e onestà,  tanto da sentire il bisogno di ripeterci verso la fine della seconda parte: Abbi pazienza./Per la democrazia abbi pazienza./…
Nella terza parte si procede verso la meta , si cammina in avanti con sempre maggiore consapevolezza. E’ necessario guardare avanti senza soffermarsi a pensare a ciò che non necessità, bisogna concentrarsi e non recriminare su quello che non serve: Quello che non volevamo. Cancellalo,/toglilo dalla prospettiva: soltanto un peso,/e non abbiamo bisogno di ragioni/sfilacciate, tediose, ma di aria,/pellegrini./ E’ di nuovo una esortazione a non soffermarsi a guardare al negativo, ma a focalizzare lo sguardo verso la meta giusta, verso ciò che si vuole veramente, a non perdersi. Ma attenzione, non si può andare avanti senza ricordare il passato, senza tenerlo sempre bene in vista: …/ritaglia dalla ruota del camion il ritratto/di tua madre e tienilo sempre con te,/non puoi tentare il futuro senza il ritratto/di tua madre./
In questa terza sezione Alberto Toni si sofferma maggiormente sul significato stesso di democrazia,
sulla sua essenza: Anche il sorriso dovrà fondersi con il tuo./ Tutto il sacrificio nascosto, dirimere/ le questioni irrisolte, di sera davanti/l’uno all’altro, fino a quando non ci sarà/tregua. Non è forse racchiuso in questi versi il senso profondo della democrazia?
La quarta parte si apre con una citazione di P.P. Pasolini tratta da Trasumanar e organizzar:  
- Come dice Euripide: «La democrazia consiste in queste semplici parole: chi ha qualche utile consiglio da dare alla sua patria?» 
Siamo quindi un passo avanti nella ricostruzione, ma qui forte è il senso del sacrificio  e del dolore. Cosa ci ha lasciato la guerra? Il dolore delle madri in lutto - e proprio per questo “Ora è tempo di lavoro” dice Toni. Tutti quei giovani morti non possono essere periti invano. Sono loro che hanno pagato per tutti e noi abbiamo il dovere di rendere sacre quelle morti attraverso il nostro lavoro per costruire un mondo di bene: “Chi ha qualcosa da dire di buono. Perché/ il sole è già alto e quello avanti sono un/ bel gruppo per l’avanguardia, le riserve/ ci sono, gli zaini, una bandiera rimediata./
E’ una sezione che porta alla riflessione e alla considerazione che la democrazia deve essere fatta con l’apporto di tutti, all’unisono.
La quinta e ultima parte si apre con una citazione di De Amicis tratta dal libro Cuore: L’educazione di un popolo si giudica innanzi tutto dal contegno ch’egli tien per la strada.
E’ dunque evidente qui il richiamo al senso civico di un popolo, alla sua capacità di relazionarsi in un contesto sociale.  In questa parte è meno evidente il senso tragico, tuttavia rimane presente, anzi direi incombente, il dolore della guerra, il sacrificio della ricostruzione.
Tutto il poemetto è un viaggio, una ricostruzione storica del sacrificio di tutti i popoli per la conquista di una società democratica e civile: dalla guerra, dal dolore estremo profondo si deve uscire e percorrere con pazienza e onestà un sentiero fatto di lavoro e di ideali per raggiungere la meta. In un certo senso, quindi, questo poemetto potrebbe essere definito “di carattere storico” perché esamina con occhio attento la storia dell’umanità rapportandola alla nostra condizione attuale e ci lancia un monito, un avviso, quasi una preghiera: non sprechiamo quello che è stato conquistato con tanto sacrificio.
                                                                                                                 Cinzia Marulli


Da Democrazia di Alberto Toni

[…]
Nel fango, esterrefatti, andiamo
a raccoglierli, vuoi vedere la mia
giacca a brandelli e ciò che resta
come in un museo di solitudine
e di guerra?

A turno, la parola, da nord a sud
in assemblea, anche le madri, ciò
che resta in un giorno qualsiasi
in una primavera appena cominciata
e bella.

Pulire la strada, rassettare, prendere
la parola, perderla, dividere, tacere,
il tonfo, la gamba che fa male, ora
mi fermo e ascolto, ora che tutto è
deciso.

Quando scende la notte sui tetti e
tutto è fermo, lì non basta, non
serve, non altro spirito che fermare
la diaspora e scendere a patti in
ombra.



[…]
Democrazia è pazienza, abbonda
la pazienza sulle nostre teste, nei
cuori, la scia lunga degli automezzi
al confine. Un ragazzo sventola la
bandiera.

Audace per scelta forzata di libertà –
lieti saranno i giorni, in festa anche
nei campi liberati, e il confronto
serrato con la popolazione, serve
tutto.

Dovunque si alza un cuore, là
si conservano intatti gli accordi.
Il viaggio è ancora lungo e troppi
sono i pericoli. Abbiamo pazienza
e la pazienza è il ramo sempreverde.

[…]

Abbi pazienza.
Per la democrazia abbi pazienza.
Una rinuncia
o forse la miccia, Nino, come l’altro,
Tito,
seduti adesso a forza dopo una perlustrazione,
le scosse dell’automezzo. E le dita provate,
il cappello, stai buono se no ci scoprono.

C’è di mezzo la politica. Ma il cielo,
il cielo viola di cenere e lapilli, dopo
lascerai il bel canto di lei per unirti
a noi? Lei, la bella musicista a cui
aspiri.

Ti teneva con il bel concerto mentre
fuori imbruniva e gli altri discutevano.
La poesia che incendia e non lo sai
nemmeno è più graffiante di una lettera
da casa.

[…]


Alberto Toni si è laureato all'Università La Sapienza di Roma in Lettere con una tesi sull'opera di Sandro Penna. Vive a Roma dove lavora come insegnante.

Negli anni '80 ha partecipato a numerose letture pubbliche, tra cui il Festival Internazionale dei Poeti del 1984 nell'ambito dell'Estate Romana e ha pubblicato su diverse riviste di poesia, tra cui Nuovi Argomenti, Arsenale, Prato Pagano, Tabula (con una prefazione di Amelia Rosselli). Con la raccolta poetica Liturgia delle ore ha conseguito il Premio Internazionale Eugenio Montale.
Dal 1984 al 1989 ha collaborato alle pagine culturali di Paese Sera. È autore di varie raccolte di poesia, racconti, testi per il teatro. La sua poesia, come scrive Alberto Bertoni nell’Almanacco dello Specchio, Arnoldo Mondadori Editore, 2009, si muove dentro una "radice comune", configurandosi come esperienza di una religiosità laica, dentro gli avvenimenti della storia e un vissuto privato.
È anche autore di teatro: Gabriele! Gabriele!, prima rappresentazione al Teatro Politecnico di Roma con la regia di Giuseppe Marini, 1997; nuovo allestimento: Laboratori Metis Teatro, Casa delle Culture, Roma, con l'amichevole partecipazione di Walter Toschi nel ruolo di Gabriele D'Annunzio, adattamento e regia di Alessia Oteri, 2014; del 2003 il monologo in versi Donna su una poltrona rossa, (Editrice Ianua), al Teatro Argot con Paola Lorenzoni nell'ambito della rassegna Vetrina di Scena sensibile, Roma 2004. Ha tradotto, tra gli altri, testi di E. Dickinson, T. S. Eliot, M. Leiris. Scrive di critica letteraria su periodici e quotidiani.
Il 18 agosto 2016 a Ponte di Legno è stato inaugurato il sesto Totem della poesia con un suo testo intitolato Legno.

Ha pubblicato:
Poesia
La chiara immagine, Rossi & Spera, Roma 1987 (Premio speciale opera prima L'isola di Arturo - Elsa Morante)
Partenza, Empirìa, Roma 1988
Dogali, Empirìa, Roma 1997 (Premio Sandro Penna)
Liturgia delle ore, Jaca Book, Milano 1998 (Premio internazionale Eugenio Montale)
Teatralità dell'atto, Passigli, Firenze 2004 (Premio Pier Paolo Pasolini)
Mare di dentro, Puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2009
Alla lontana, alla prima luce del mondo, Jaca Book, Milano 2009 (finalista Premio Brancati, Premio Camaiore, Premio Dessì) ISBN 978-88-16-52037-0
Democrazia, La Vita Felice, Milano 2011
Un padre, in Almanacco dello Specchio 2010-2011, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2011
Polvere, sassi, oli, Il Bulino, Roma 2012
Mare di dentro e altre poesie, e-book, LaRecherche.it in collaborazione con Poesia 2.0, 2013
Et allons, Edizioni Progetto Cultura, Roma 2013
Stone Green. Selected Poems 1980-2010 (traduzione di Anamaría Crowe Serrano e Riccardo Duranti), Gradiva Publications, Stony Brook, New York 2014
Vivo così, Nomos Edizioni, Busto Arsizio 2014 (secondo premio Pontedilegno Poesia 2015; finalista premio Nazionale Frascati Poesia - Antonio Seccareccia)
Il dolore, Samuele Editore, Fanna (PN) 2016

Narrativa
Quanto è lungo il sempre, Manni, Lecce 2001
L'anima a Friburgo, Edup, Roma 2007

Saggistica
Con Bassani verso Ferrara, Unicopli, Milano 2001
Livorno, Unicopli, Milano 2016