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mercoledì 21 dicembre 2011

mercoledì 14 dicembre 2011

Educare alla bellezza
28 ottobre 2011
Palazzetto Mattei - Villa Celimontana - Roma -

Fondazione Claudi
e
Davide Rondoni

letture poetiche
di
Monica Martinelli e Rita Pacilio

martedì 13 dicembre 2011

Premio di poesia "Le gemme"

I^ edizione
Scadenza 30 aprile 2012

1
La casa editrice Progetto Cultura ha inaugurato nel 2011 la nuova collezione di quaderni di poesia “Le gemme”, curati da Cinzia Marulli Ramadori, al fine di testimoniare momenti di elevata ispirazione poetica tali da potersi legittimamente inserire nel panorama letterario contemporaneo per la loro unicità e significatività, sia dal punto di vista contenutistico che stilistico.
L’intenzione, infatti, è quella di raccogliere le gemme di ogni autore per sintetizzarne il discorso poetico e, al tempo stesso, facilitarne la diffusione, utilizzando un formato semplice ma elegante e di immediato impatto visivo.
Nell’ambito di tale iniziativa, Progetto Cultura promuove la prima edizione del Premio di poesia “Le gemme” (in appresso, per brevità, Premio).

2
Possono partecipare al Premio autori italiani e stranieri con una silloge in lingua italiana a tema libero per un minimo di 20 e un massimo di 28 poesie.
La silloge deve essere inedita (la diffusione sul web delle singole poesie non viene intesa come pubblicazione). Per ogni partecipante è ammessa una sola silloge.
Al fine della partecipazione, è richiesto il pagamento di una quota di 20 euro, per spese di organizzazione e segreteria, da versare:
  • sul c/corrente postale n° 52028743 intestato a Edizioni Progetto Cultura - Roma
  • tramite bonifico bancario IBAN  IT06I0558403252000000051351 (Banca Popolare di Milano), con beneficiario Edizioni Progetto Cultura - Roma.
3
La giuria del Premio -  coordinata da Cinzia Marulli Ramadori e costituita da rappresentanti di rilievo del panorama poetico e letterario contemporaneo  i cui nomi saranno resi noti alla scadenza del bando  - procederà, dopo la fase di selezione, all’individuazione di 15 finalisti che saranno invitati alla cerimonia di premiazione che avrà luogo a Roma presso la libreria-caffè letterario “Mangiaparole” (Via Manlio Capitolino 7/9). 
Nel corso della cerimonia di premiazione, saranno proclamati i tre vincitori scelti dalla giuria.
La giuria si riserva di indicare eventuali menzioni speciali, nonché di non proclamare alcun vincitore nel caso non giungano opere ritenute meritorie.
Il giudizio della giuria è inappellabile.

4
Il premio per ciascuno dei tre vincitori consiste nella pubblicazione nell’ambito della collezione dei quaderni di poesia “Le gemme” . La pubblicazione sarà a titolo gratuito, con sottoscrizione di regolare contratto di edizione.
Per le tre sillogi pubblicate, si prevede la presentazione presso la libreria-caffè letterario Mangiaparole.

5
Le sillogi dovranno essere inviate per posta, in triplice copia, all’indirizzo Edizioni Progetto Cultura – Casella Postale 746 – 00144 Roma.
Ciascuna delle tre copie dovrà indicare nel frontespizio il titolo della raccolta, i dati dell’autore (nome, cognome, data e luogo di nascita, indirizzo, telefono, e-mail, breve nota bio-bibliografica) e la seguente dichiarazione debitamente firmata: Io sottoscritto/a (nome e cognome) dichiaro che la raccolta di poesie dal titolo …………….. è mia opera originale ed inedita e acconsento alla sua pubblicazione e presentazione in pubblico e alla utilizzazione dei miei dati personali ai sensi del D. Lgs. n.19  del 30 giugno 2003.
Nel plico contenente le tre copie della silloge dovrà essere inserita anche copia della ricevuta di pagamento dei 20 euro per la partecipazione al Premio.
I dattiloscritti non saranno restituiti.

6
Gli autori selezionati saranno informati in tempo utile circa la data e l’orario di svolgimento della cerimonia di premiazione, che in ogni caso sarà resa pubblica sui siti www.progettocultura.it e www.mangiaparole.it.

Per qualsiasi ulteriore informazione o chiarimento scrivere all’indirizzo  c.marulli@progettocultura.it

Incontro poetico e tre voci


Video dell'evento del 27 ottobre 2011 al caffè letterario Mangiaparole: Angela Ragusa con "Rendimi Altare" (LietoColle), Luciano Lodoli con "Colleziono Suggestioni" (LietoColle), Maurizio Rossi  con "Sono aratro le parole" (LietoColle): relatori Anita Napolitano, Cinzia Marulli Ramadori e Angelo Sagnelli

martedì 15 novembre 2011

Impressioni: dalla lettura della raccolta poetica “Colleziono suggestioni” di Luciano Lodoli (LietoColle 2011)

Recensione pubblicata su LaRecherche

Già nel titolo appare la potenza racchiusa in questa raccolta poetica di Luciano Lodoli: “Colleziono suggestioni” (LietoColle 2011); perché profonda è la sensibilità dell’animo umano, ma soprattutto profondo è il suo essere tra le cose, nella vita, dove emozioni, azioni, sentimenti, persone, luoghi e circostanze agiscono come forze esterne che abbracciano e scuotono lo spirito impadronendosi del sentire. Vi è però anche una chiara consapevolezza, un volersi lasciar trasportare e un desiderio necessario di ascoltare il proprio animo così arricchito dalla vita.

La raccolta, seppur breve, contiene ben quattro sezioni, ognuna rappresentativa di aspetti evidentemente importanti della e nella vita dell’autore, un sunto di priorità attraversate una ad una dalla parola poetica, quasi a voler rendere materia proprio quelle “suggestioni” collezionate. Significativo è il fatto che ogni sezione ha come titolo una frase, un verso, un aforisma di altri autori che racchiudono in sé l’argomentazione trattato da Lodoli; come se una semplice denominazione non fosse sufficiente ad abbracciare l’intero discorso; infatti le frasi scelte non costituiscono la mera definizione del tema trattato, ma aprono un sentiero e trasportano il lettore attraverso un percorso di percezione; l’argomento dunque non è esplicitamente dichiarato, ma è espresso attraverso una citazione che ne crei la “suggestione”. Perché in questo “libricino” tutto è esattamente dove deve essere. Non ci sono inutilità, ma elementi primari.
La prima sezione è dedicata proprio alla poesia e ad annunciarla troviamo dei meravigliosi versi di Alda Merini “Ho bisogno di poesia, / questa magia che brucia la pesantezza delle / parole, / che risveglia le emozioni e dà colori nuovi”. Una chiara dichiarazione di poetica che Luciano Lodoli rende propria e argomenta con le sue poesie nelle quali si evidenzia la centralità della parola poetica, tanto importante da sentire il bisogno di poetare sul poetare. La poesia crea dunque un mondo altro, entriamo nella terra di mezzo di Tolkien e non è dunque riconducibile ad un banale sfogo, ad un limitativo atteggiamento introspettivo, ma assume un ruolo purificatore che invade l’animo umano il quale può solo accoglierla in calici scelti perché essa come acqua sorgiva / pura e fresca / nasce / dal profondo./
In questo connubio poesia-acqua si ritrova appunto la valenza purificatrice e salvifica: è il poeta… che dà colore alle domande e significato alla fragilità”.
Quattro sono le poesie dedicate alla prima sezione, solo quattro verrebbe da dire, ma la loro potenza poetica ne dilata il numero, ne amplifica il dettato in una sintesi di grande rilevanza stilistica e contenutistica.

La seconda sezione si apre con una frase di Sant’Agostino (definito in tale contesto semplicemente “Agostino”; forse, mi viene da pensare, per sottolineare il senso filosofico della frase stessa senza implicazioni religiose che possano deviarne la comprensione) e che recita: “Non ci sono propriamente tre Tempi, il passato, il presente, il futuro, ma soltanto tre presenti: il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro.” Il Tempo dunque assunto a coscienza con tutte le sue infinite implicazioni; il tempo della vita, l’importanza di vivere il presente come nei versi tratti dalla poesia “La mappa e il territorio”: Ciascuno chiude il proprio cammino / quando il territorio a lui dispare / e la personale mappa completa / che i superstiti per poco ancora / forse si illuderanno di ricordare/. Ecco dunque che inevitabilmente si collega al tempo il concetto della fine che ritroviamo praticamente in tutte le poesie dedicate a questa sezione così come vi troviamo anche il concetto di inizio e di vita. Il presente diventa una sorta di segmento racchiuso tra “Due nulla”…infinito prima e indefinito / poi / si sfiorano. / Due parentesi / due nulla / circoscrivono altere / e inesorabili / il senso inafferrabile / elusivo e inquietante / di quanto noi diciamo / esistere./ Si potrebbe riflettere per ore su questi versi tanto sono pregni di significato. Estrema sintesi di un concetto amplissimo non solo sull’esistenza vista attraverso un monitor tridimensionale, ma anche sull’origine e sulla fine, direi sicuramente sull’oltre.

Vita-morte esistono come aspetto dualistico in una concezione spazio- temporale fatta di percezioni e di “Immagini eidetiche”. Non troviamo un pensiero di centralità universale dell’essere umano, tipico del mondo occidentale e cinese, ma un pensiero che pone la natura al di sopra, in una dimensione di sacralità per sé stessa e di indifferenza verso l’uomo. Mi viene alla mente Wislawa Szymborska che nella poesia “Le nuvole” dice: Gli uomini esistano pure, se vogliono, / e poi uno dopo l’altro muoiano, / loro, le nuvole, non hanno niente a che vedere / con tutta questa faccenda / molto strana./…/ Non devono insieme a noi morire, né devono essere viste per fluttuare./, ed ecco Luciano Lodoli che recita così nella poesia “Fresca di rugiada”: Fresca di rugiada / è l’erba / al mio sguardo distratto / indifferente / e lustra di sacro / il terreno cela./

Ma quando l’autore parla della vita entra in un discorso di chiarezza e di consapevolezza. In questo contesto troviamo la centralità dell’uomo, per ciò che riguarda la sua propria esistenza, perché se è pur vero che le nuvole passano indifferenti e che anche l’erba indifferente allo sguardo dell’uomo copre di sacralità la terra è anche vero che l’uomo stesso deve avere ruolo attivo e centrale nella propria vita così ne “Il senso opaco della colpa ignota” i versi finali dicono:… / e non fui mai / ciò che non volli / e presi parte chiara perciò / all’occorrenza./
Nella terza sezione evocata da un suggestivo verso di Montale: Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua / limpida. / scorta per avventura tra le petraie d’un greto… /  passiamo ad un poesia lirica, dedicata e rappresentativa degli affetti, anche il ritmo ed il verso cambiano e si plasmano al contenuto diventando più dolci, amorevoli. Qui ci appare l’uomo, nel suo sentire verso le persone più care e significative della sua vita: la compagna, la figlia, la madre. Tre figure di donna, ognuna unica e insostituibile; Quanta tenerezza in queste poesie; l’amore non solo si legge, ma si sente, diventa suggestione anche per il lettore come ne “Il risveglio di Ulisse”: L’indistinta eco di una voce amica / e il suo danzante intercalare / nella domestica stanza al risveglio / giunge serena a riportare / una Itaca ancora ritrovata / e una Penelope da baciare / il giorno della sfida al nuovo mare, / ultima. Che splendido esempio di sintesi poetica questi versi: in essi c’è racchiuso l’affanno dell’uomo, il suo viaggio interiore e attraverso la vita (l’Ulisse), il concetto di amore-amicizia quale duale aspetto di un unico sentimento (voce amica), l’atmosfera familiare, intima (domestica stanza al risveglio), la passione amorosa (da baciare), la certezza dell’amore vero, fedele (Penelope), l’importanza dell’amore quale sostegno dell’uomo di fronte all’ignoto (sfida). Anche questa una sezione intensa, fatta di pochi, profondissimi, versi come la poesia “Ti scorgo ora” dove si evidenzia il ricordo della madre che ricompare nella memoria e nel sonno, dall’oltre, quale affetto immortale e immanente. Perché l’amore dato, l’amore ricevuto rimane a conforto, a nutrimento della nostra vita: e come sempre rivivrai al mattino / tenace e flebile nel mio ricordo./
L’ultima sezione si apre con una frase del nostro Pier Paolo Pasolini: “Non popolo arabo, non popolo balcanico, /  non popolo antico / ma nazione vivente, ma nazione europea: / e cosa sei? /  . Entriamo dunque in un segmento diverso dai precedenti: ci troviamo davanti ad una poesia civile o per meglio dire di impegno civile, giacché la poesia se non fosse civile, sarebbe forse incivile? La poesia dunque non come analisi introspettiva, ma come occhio sul mondo e nel mondo, in un sentire collettivo che travalica anche i singoli e tragici eventi richiamati nei versi del Lodoli. Qui il poeta parla più che mai con un “io” collettivo inserendosi nella sua contemporaneità e mettendo però in evidenza quei valori universali che dovrebbero permeare l’animo umano: la compassione, la fratellanza, il senso della giustizia.
L’analisi si estende ad eventi tragici come il terremoto di L’Aquila, la shoah, Piazza Fontana, così facendo Lodoli analizza il comportamento dell’uomo nella sua socialità, grida la sua rabbia, la sua disapprovazione, esprime il suo essere nel mondo.
Potrei continuare a parlare per ore di ogni verso scritto da Luciano Lodoli, tante sono le suggestioni che la sua poesia mi ha trasmesso. Lascio invece il posto alla lettura delle sue poesie che da sole, nella loro pura sintesi, ci trasmettono l’essenza del loro valore.

                                                                                    Cinzia Marulli

giovedì 20 ottobre 2011

Marzia Spinelli su Agave di Cinzia Marulli

“Agave” di Cinzia Marulli Ramadori, LietoColle 2011
Marzia Spinelli e Guido Oldani

 Sono veramente “Gocce di luce”  questi versi di Cinzia Marulli, “ brillano sul mare/come stelle galleggianti/in attesa di tornare/nell’immensità del cielo”:  forse sta qui il cuore di Agave, in queste gocce/parole scelte con cura e dedizione. Cadono decise e poi a volte pudiche e poi furiose man mano che avanzano: acqua che nutre radici, fa fiorire, diventa  amnios e poi respiro;  gocce guidate da  “una penna antica traditrice …” cui affidare un  arduo compito, librarsi e liberarsi dalle tempeste mentre “straripa l’inchiostro/ dagli argini della mia anima/ è un fluire nero e tumultuoso/ sul bianco foglio della ragione”: l’acqua mobile e la terra ferma della scrittura, una zona di guerra cui decidere se arrendersi o meno. Onnipresente è l’Agave del titolo, pianta strana, fiorisce una sola volta ma qui è portatrice perenne d’amore, accompagna l’onda “possente” di emozioni e pensieri, a volte sfinita nel fare quotidiano, altre immersa nella nebbia e poi ancora sempre sul mare, così caro a Cinzia, davanti al quale si siede e ne ascolta ” la vertigine marina” che fa vacillare ma che addolcisce. E sempre all’acqua, a quel liquido amniotico inizio di tutto, l’Autrice consegna il proprio cammino esistenziale e poetico: “il piede mio sconfina/nel vuoto(quindi) arieggia/e in un tuffo mi rotondo nell’ignoto”. Se la maternità è una morbida rotondità, “asilo ancestrale”,  calda e sapiente é l’intera cifra con cui Cinzia sta al mondo: “tra i vicoli antichi/suona la vita”, e pure se s’affacciano ombre  “s’abbraccia nella quiete del mattino/la gioia sconnessa della vita/il lento perpetuare del dolore … “e timori “è il vacillare mesto dell’acrobata/che si dondola sul filo/e non riesce/ad afferrare la corda”, questa Agave sa mostrare la meraviglia di chi vede “tra tanto cemento/un filo d’erba”. E anche noi la vediamo.
             
                                                                                                 Marzia Spinelli

martedì 11 ottobre 2011

Maria Stella Fabbri su Agave di Cinzia Marulli

Risonanza, echi di pensieri su Agave (LietoColle 2011)
Ottobre 2011
 Cara Cinzia,
ho riletto tutte le tue poesie, ma l’eco che t’invio si limita al titolo e a quanto ad esso strettamente si lega, dove particolarmente ha sostato la mia attenzione.
Del resto il da dirsi sull’insieme è stato ampiamente ed egregiamente detto, per cui …
Quanto ti consegno è spontaneamente nato da un connubio di pensieri e di realtà che si sono come incrociate, venendo tra loro a colloquio.

Ho un’agave nel mio terrazzo: la strappai, anni fa,  ad una selvaggia riva marina della mia selvaggia Maremma. Mi è sempre piaciuta quella sua robustezza orientata al fiorire, quella sua carnosità capace di rendere ricamo l’impronta delle sue stesse spine (appuntito vertice solo a difesa), il suo ergersi a mostrare tutta quella vita selezionata dentro il mistero della terra…
Come fai tu, nell’esergo della tua raccolta, dopo averlo fatto di fronte allo svelarsi del tuo Evento per darne immediata notizia al Figlio…pur se da lui ti veniva, e imperiosa, la nuova identità.
Affidata alle pagine, la notizia s’è poi diffusa… Eppure conserva una sua indicibile unicità, così come unica resta l’esperienza di quella “radice” che s’insinua “tra le zolle” in cerca d’acqua, per crescere “come pianta/rampicante” e avvinghiarsi “alla vita” fino a “fiorire”. Dove il fiorire è, al tempo stesso, autonomia di processo e restituzione: a saziarti sono infatti i suoi “petali”, del cui prodigio anche la tua “anima grida”, mentre “il grembo devoto” si fa spazio al plasmarsi in vita dell’amore.
Una vita che, oltre al volto del Figlio, avrà anche altri volti, com’è naturale che sia per la diffusività dell’amore, ma che, tuttavia, in lui esprime, per te, più naturalmente che mai,  la sua massima celebrazione.

Grazie a te e alla poesia, Maria Stella Fabbri

giovedì 22 settembre 2011

Monica Martinelli su Agave di Cinzia Marulli


Sono molteplici gli aspetti che mi hanno colpita in questa opera prima di Cinzia Marulli Ramadori dal titolo così emblematico “Agave”. La sensibilità, l’umanità, l’amore, la disperazione, espressi però sempre in maniera pacata e senza sbavature o picchi d’angoscia; la musicalità dei versi; l’uso sferico di verbi come “S’arancia il mio sguardo..”, “..nel nero cigliare..”, “..mi rotondo nell’ignoto..”.  I colori sono importanti nelle poesie di Cinzia, il bianco delle nuvole, l’azzurro del cielo, il rosso del tramonto, e sembra quasi che gli elementi della natura si antropomorfizzano, assumono sembianza e voce e che la stessa autrice ci si immedesima.  Acqua, aria, terra, si incrociano con sguardi, corpi, suoni e sofferenze in un immenso volteggio ritmico, come nella poesia Orme: “…la sabbia accoglie i miei piedi scalzi/ le orme del mio santo camminare/ si perdono tra le acque del mare”. Sabbia, acqua e piedi si saldano così in un abbraccio osmotico a percorrere croci e delizie della vita (e di cui fa necessariamente parte la morte).  Si percepiscono nei suoi versi echi dell’antica poesia cinese T’ang.  La modulazione melodica, dal punto di vista stilistico, la chiarezza e l’immediatezza del dettato poetico: “A sud del fiume Azzurro nasce l’arancio vermiglio/quando è inverno è come un bosco verde/Forse perché di quella terra l’aria è dolce?...” (Chahg Chiu-ling, Risonanza); “..La nuvola passa a immagine del tuo peregrinare,/col sole del tramonto viene il pensiero dell’amico caro…” (Li Po, Accompagnando un amico).
Quello che più mi ha catturata leggendo questo libro è stata la forte sensazione di movimento ricevuta, il fluire - a ritmo equoreo - dell’acqua che non è ferma ma scorre, proprio come la vita, o come l’inchiostro che “straripa” nel suo “fluire nero e tumultuoso”. L’autrice  pare in procinto di uno scatto, di una trasformazione, di un andare oltre, magari sul bordo del declivio: “..il mio fluire è verso l’orizzonte..”  “…Il piede mio sconfina nel vuoto…e in un tuffo mi rotondo nell’ignoto”.
Questo è un libro interamente dedicato, spassionatamente e incondizionatamente, da lei che è figlia e madre insieme, a suo figlio, al suo compagno, a suo padre, sua madre, alle amiche, eccetera, come se volesse annullare sé stessa in un altro da sé. Come se ciò riflettesse un bisogno di accudimento da parte dell’autrice, di darsi prodigalmente anche in funzione poetica, di accrescere e coccolare gli altri, minimizzando il proprio io e rendendolo più umile. Ecco, trovo che questo sia bellissimo, in quanto generoso e sincero, è la costruzione attiva di una realtà costellata da affetti ricreata e idealizzata nei suoi versi.  E non è un caso che tra le poesie più intense ed emotivamente significative ce ne siano un paio che descrivono l’autrice e la “sua tumultuosa” lotta contro la ragione: Inchiostro (“Straripa l’inchiostro/dagli argini della mia anima/ è un fluire nero e tumultuoso/sul bianco foglio della ragione”) e Bulimica nebbia (“Nella mente/ non c’è più ragione/tutto diventa nebbia/anche il dolore..)”; in quest’ultima Cinzia si punisce insieme alla sua anima ingoiando sé stessa, eliminandosi o quanto meno mettendosi a margine, mentre in primo piano ci sono sempre coloro che ama, coloro che fanno parte della sua vita e che animano la sua poesia (proprio come il cielo e il mare). Stanno dunque negli affetti le radici della sua vocazione  poetica? Quindi poesia come gesto d’amore, atto dedicatorio, punto d’incontro con il prossimo. Perciò ritengo che Cinzia Marulli sia andata ben oltre il senso della scrittura poetica come scrittura autoreferenziale perché, con la sua coerenza etica, ha compreso che tutto ciò che scriviamo è rivolto a qualcuno o qualcosa, reale o astratto che sia.
     

                                                  Monica Martinelli

venerdì 2 settembre 2011

Anita Napolitano su Agave di Cinzia Marulli Ramadori


Vi sono incontri curiosi. Qualcuno ci sfiora e qualcun’ altro ci colpisce. Molti non ci mutano e pochi ci trasformano
                                                                                                                       NINO SALVALESCHI
                                                        

Ho letto più volte Agave e, anche se fin dalle prime letture mi ha conquistata, ho tuttavia avuto bisogno di tempo per poter fare le mie considerazioni.
Inizialmente avevo una sorta di blocco che non mi permetteva di mettere inchiostro su carta: Agave mi appartiene al punto che non  sapevo dove e come iniziare, pur volendo scrivere molte cose. Autorevoli penne quali: Perilli, Calandrone ecc... hanno scritto sul libro dando così all’unanimità la loro approvazione, ma ciò non mi ha sorpreso affatto perchè ancor prima della pubblicazione ero della convinzione che Agave avesse una sua profonda motivazione, una sua profonda radice.
Il libro è suddiviso in sezioni e il comune denominatore che traina tutta la raccolta è l’amore, ed è anche “ le fil rouge” che lega i testi alle varie sezioni “radice, fiore  amnios, aere, amore”.
La  passione per questo benevolo sentimento /per l’oltre è così intensa che si accosta quasi ad una sorta di misticismo religioso e di  sacralità divina. Per la poetessa la morte non è l’approdo definitivo, ma l’ inizio di un nuovo viaggio verso l’altrove come nei versi che recitano: “il mio fluire è verso l’orizzonte/tra le freschezze azzurre/degli ariosi pensieri./                                        
Il titolo a grandi caratteri giustapposto in alto al centro è indizio indicativo al fine di individuare i tratti distintivi del carattere della poetessa, in quanto rappresenta la pianta con la quale l’autrice si identifica metaforicamente. Ogni fiore porta con sè un messaggio codificato: l’agave fiorisce un'unica volta, cresce e si espande nella sua totalità prima della morte; il suo amore è talmente grande che arriva a distruggersi. La crescita del fiore dell’agave nella sua svettanza verticale per la Ramadori ha un significato profondo, trascendente, di comunicazione tra il divino e il terreno così come nel famoso dipinto di Raffaello “la scuola di Atene” (Stanza della Signatura- Musei Vaticani) nel quale Platone indica il cielo e  Aristotele la terra.
Nella simbologia dei fiori si regala la pianta dell’agave perchè il fusto rigido e imponente rappresenta la sicurezza, quella sicurezza che infonde la poetessa concedendosi nella totalità. Nella dedica iniziale il trasporto incondizionato per il prossimo, sicuro, fermo fino al termine estremo, mai egoistico è ben tratteggiato:   “Figlio/ io sono Agave/nel tuo fiore/ svetta/ il mio amore”.
La  complessa pianta  è composta anche  da  aculei  che simboleggiano il dolore, l’ afflizione  come si può leggere in special modo nelle dediche rivolte alla madre: “...avvolta dalle sbarre/legata ad una flebo/...  il mio passo/ vigliacco e spaventato/ correva come folle/ tra labirinti di paura” ; ma nonostante ciò  il sentimento più alto, quello che pervade  tutta la raccolta in ogni caso è l’ amore, ripeto, è il leit motiv che lega le cinque sezioni. I testi  delle varie parti si susseguono tratteggiando così una spiccata sensibilità e in tutto l'insieme traspare l’autenticità del sentimento.. Attraverso bozzetti di vita quotidiana, come li definisce M.G. Calandrone, l’autrice ha esplicitato se stessa, le sue paure, i suoi tentennamenti. La Ramadori pur mostrando la doppia faccia della stessa  medaglia è il poeta cantore dei buoni sentimenti e l’unica punizione che infligge è a se stessa:  questa lirica è di una drammaticità disarmante “la mia bocca/si trasforma/ è strumento di pena/ più ingoio e più espio/.../punisco la mia anima/ e ingoio me stessa”.

Sempre in una lirica dedicata al figlio, Di catene avvinta,  leggiamo “la tua  strada prosegue tra i sentieri del domani/ il mio traguardo è nel vederti andare: tali versi esprimono il senso assoluto dell’amore quale esso debba essere ovvero privo di possessività e di egoismo, infatti sono la testimonianza del fatto che la vita che genera vita non deve arrogarsi il diritto di appropriarsene,  sicchè non si può essere di catene avvinti.
Dunque nel libro la passione, l'affetto e il trasporto per l'altro è cantato in ogni forma: per il figlio, per i genitori, per gli amici come testimonia anche la dedica a Nina Maroccolo di sublime bellezza (nel nero cigliare/del tuo sguardo/si affannano i tormenti).  

Un’intera sezione è dedicata all’Amnios: la tematica dell’acqua, intesa come siero di vita, è ricorrente, ed il mare come l’acqua assurgono a funzione salvifica, ne è un esempio la poesia “Acqua”dedicata al suo uomo (“tu sei acqua/amore mio/nella quale  leggera io nuoto”).
Il lessico si avvale della limpidezza dello stile, e in alcune poesie si articola su elementi della natura come nella poesia Maestrale: “nel bianco increspare/ delle onde/ si perde il mio pensiero/; oppure nella poesia Orme:  “le orme del mio santo camminare/ si perdono tra le acque del mare”. Il linguaggio della raccolta non è metafisico, ricco di orpelli ma bensì  immediato e armonico; vuole essere semplice e penetrare l’essenza di cose e persone, infatti non abbiamo a che fare con il poeta ermetico visionario, con il poeta dell’indicibile, il suo è un lirismo diretto, morbido e al contempo incisivo .
Come ho già detto in precedenza, ho voluto prendermi una pausa di riflessione prima di scrivere le mie considerazioni in quanto era mia volontà dare a questo libro di poesie il degno tributo, poiché è del ciclo della vita che parla. L’instancabile lavorio dell’ autrice, il sacrificio, il  porgersi all’altro, il non avere remore nel mostrare la propria nudità merita  il dovuto riguardo.
Ho voluto esprimere le mie  impressioni, senza farmi contaminare e ho cercato di prendere la giusta distanza,  così come avviene in Psicoterapia teatrale: quella  distanza estetica che mi ha permesso di vedere “Agave|” senza farmi travolgere dai sentimenti che mi legano alla scrittrice .
L’emozione  più grande è stata quella di averlo visto germogliare giorno dopo giorno, settimana dopo settimana nei nostri sacri laboratori poetici a cura del maestro Plinio Perilli, veri e propri rituali svolti in contesti  fuori dal quotidiano, dove ogni singolo componente si spogliava degli automatismi e a turno dava libero sfogo alla sua vena artistica. Ricordo il giorno in cui  la Ramadori, in occasione del lavoro di gruppo fatto sulle opere di Giacomo Manzù, lesse la poesia Maternità, rimanemmo tutti in silenzio: “Si scheggia nel nero l’ amore materno/la forza compare sotto il manto di luce/fierezza di donna  fierezza di pace/...  tali incisivi versi fecero riflettere intensamente sulla profondità della sua poetica. .
Questa è l’opera prima della Ramadori, ma ciò non deve trarre in inganno in quanto, come lei stessa sostiene in una intervista fatta dall’ associazione “Occhi di Argo”, è  sin da bambina che alimenta questa passione: la scrittrice fa della poesia  una pratica quotidiana. Le sue conoscenze le hanno permesso  non solo di scrivere poesie in versi sciolti, ma anche in metrica.
La tecnica ha la sua preponderante valenza e a tal proposito vorrei riportare le parole esclamate da  Elio Pecora in uno dei suoi convegni. Il maestro asseriva: l’esplicitazione del sentimento autentico  e la tecnica viaggiano di pari passo, ed è proprio questo quello che avviene nella silloge della nostra autrice, a testimonianza di ciò anche una poesia in quartine in endecasillabi a me dedicata che recita: ”amica mia poetessa del pensiero/il tuo sogno hai infine realizzato/quell’intimo trionfo ha conquistato/l’ animo vagabondo tuo sparviero.
Tra me e la poetessa c’è un feeling particolare, le affinità  che hanno reso saldo il nostro legame nascono proprio dal trasporto per l'arte del poetare: questa passione non solo apre nuovi orizzonti, affratella, sensibilizza, rende vulnerabili. Scrivere poesia è l’espressione massima dell’umano sentimento,  è pura conoscenza dell’altro, il poeta con i suoi versi svela-rivela, estrinseca il suo mondo interiore. Cinzia  Marulli come lei stessa sostiene è sorella nel sentimento, è l’amica leale  sempre pronta a porgerti la mano, la sua poesia è stata la compagna dei miei giorni più bui, la risposta ai miei dubbi tormentanti e a lei ho  dedicato questi versi:

A te sole raggiante

Anno del Signore seimarzoduemiladieci
buon compleanno

A te sole raggiante
che delle terre algide scaldi il cuore

A te che asciughi il pianto singultante
del poeta e del pensatore affranto

A te che senza artifizio alcuno
sai con maestria comporre
con arpe sbrindellate
salmodianti melodie

A te che dell' amore
hai fatto il tuo stendardo
e ingentilisci il cuore dei ribelli

A te che strappi senza indugio
le vesti alla finzione
e sferri con audacia
colpi mortali all' ipocrisia.

A te che porgi il tuo orecchio
a chicchessia senza inarcar le ciglia
e la maldicenza scacci via

A te che di rosso pompeiano
hai dipinto il libro della vita

A te che sei il ristoro
degli inverni più pungenti
e le tue braccia il nido,
dedico queste parole - a te
amica mia, che sai come fare
a consolare il più maledetto dei poeti.

qQqqIn tutto il resto, a chiare note, si percepisce il senso della vita, quel senso che la poetessa ha voluto dare alla sua vita conservando così alti i valori, ed io da questi sentimenti sono rimasta profondamente colpita; la Ramadori abbraccia il mondo e si dona completamente, non ama mettersi in mostra, le piace operare dietro le quinte e fa della poesia lo strumento di diffusione dell’amore. In un mondo in cui  vige la lotta al potere, nel quale non si vive più hic et nunc e l’ingranaggio del meccanismo quotidiano inghiotte, l’ autrice ci traghetta  in una dimensione altra restituendoci così  il senso dell’esistenza: nel vuoto ideologico che attanaglia la nostra epoca il suo é un prezioso messaggio di solidarietà rivolto  a tutti  senza discriminazioni.
Agave è un libro importante in quanto la poetessa ha  analizzato le fasi cicliche della vita, quelle fasi che in antropologia sociale vengono definite riti di passaggio quali: la nascita, l’iniziazione,la separazione, la morte e l’oltre.
E dopo la lettura della poesia Ventre “ radice ti insinuasti/ tra le zolle incolte/succhiasti acqua/dalla profondità nascoste” e prendendo spunto dalla bellissima lirica di Marzia Spinelli (1) dedicata proprio alla Marulli oso paragonare l’autrice  a Demetra (Cerere nella religione romana), divinità della terra e della fertilità, il cui nome deriva dalla radice indoeuropea ker che significa
colei che ha il principio in sè della crescita: ed è proprio in queste caratteristiche che si rispecchia la natura della Ramadori.

Prevale la società multimediale e l'informatica, i sistemi audiovisivi e i mezzi di comunicazione di massa sono in continua ascesa,  parlare di letteratura dei giorni nostri sembrerebbe ormai quasi parlare di qualcosa di logoro, inattuale, ma in realtà non è così, anche se i  contesti epocali mutano e i metodi  tecnologici hanno preso il sopravvento la parola scritta rimane e continua ad emozionare. I poeti, i letterati dell'inizio del terzo millennio senza bendarsi gli occhi  devono fare  i conti con la realtà vigente e il loro compito é fare da ponte tra il vecchio e il nuovo. Senza rinnegare le antiche tradizioni è necessario dare spazio ai nuovi sperimentalismi affinché si possa dar vita a nuove forme di arte e la nostra autrice  è proprio questo che si è ripromessa di fare tramite il suo impegno che la vede coinvolta in attività sinestetiche con la videoarte, l’audiopoesia e le arti figurative.



                                                                                                                      Anita Napolitano



(1)Per leggere la poesia Per Cinzia di Marzia Spinelli http://www.lietocolle.info/it/m_spinelli_per_marulli.html

venerdì 26 agosto 2011

Maurizio Soldini su Agave di Cinzia Marulli Ramadori


Pubblicata su LaRecherche

 “… ora son io/ l'agave che s'abbarbica al crepaccio/ dello scoglio/ e sfugge al mare da le braccia d'alghe/ che spalanca ampie gole e abbranca rocce;/ e nel fermento/ d'ogni essenza, coi miei racchiusi bocci/ che non sanno più esplodere oggi sento/ la mia immobilità come un tormento” sono i versi di L’agave sullo scoglio di Eugenio Montale, a cui rimanda direttamente la cifra del significato della raccolta poetica (la prima) di Cinzia Marulli Ramadori. Nella metafora tutta verdicante della silloge e della vita – Vita Tra tanto cemento/ un filo d’erba - e a iniziare dal titolo c’è il simbolo della fortezza che nello stesso tempo è debolezza della natura rappresentata dall’agave e nello stesso tempo dell’essere umano e dell’esserci: vita, morte, gioia, dolore, incespicamento, ma soprattutto resistenza a non cadere nel crepaccio e mettercela tutta a credere in quell’essere che non muore mai ma che solo si trasforma in un altro essere. Il tutto nell’immobilità di un essere che si misura costantemente col baratro del nulla abbarbicandosi alla roccia per dare comunque vita, al fiore, e poi finire, soddisfatto e felice del fine raggiunto: Figlio/ io sono Agave/ nel suo fiore/ svetta/ il mio amore. La silloge è un inno alla vita attraverso l’amore. L’amore ricevuto ma soprattutto quello donato. Il dettato della Marulli ha soprattutto uno scopo, che è quello della significazione, perché attraverso la densità della sostanza vuole ancora continuare a donare, a dare amore, a trasmettere e a comunicare un forte sentimento, che spesso tralascia il significante, nel senso che si cura di più del messaggio che non del messaggero e vuole che questo messaggio arrivi, diretto. Il figlio, soprattutto il figlio, generato come il fiore dall’agave, il marito – Tu sei acqua/ amore mio/ nella quale leggera/ io nuoto -, il padre che ha lasciato “questo vuoto/ che scava baratri nel mio cuore”, la madre – i tuoi occhi mi hanno inseguita/ in essi solitudine/ cantava a squarciagola – che in un letto d’ospedale rende speculare la metafora dell’agave, non detta ma presagita, che mette angoscia, l’angoscia di vedere, lei ora fiore, la madre sfumare nella metamorfosi finale e allontanarsi con occhi che inseguono con lo spauracchio dell’assenza che in-voca cantando ossimoricamente solitudine. Poesia che contempla valori. I valori soprattutto della famiglia. Ma la famiglia si allarga alle persone vicine, alle amiche e agli amici, ai poeti con i quali c’è condivisione di esperienza e di vita. Ma l’orizzonte si allarga verso altri, lontani ma comunque vicini. Come nel caso del componimento finale dedicato alla sofferenza di una madre e al dolore in-vissuto cognitivamente e forse affettivamente, ma tutto avvolto nella musica, di Roberta, una ragazza schizofrenica. O come nel caso dei versi di Si straziano i silenzi in cui la voce si leva civilmente alta in ricordo di Peppino Impastato e di tutti coloro che come lui, e il pensiero non può anche qui non correre alle madri, hanno cercato di ribellarsi al male con l’urlo di rivolta a far chiarezza della vita e dell’amore e sono finiti nel sangue: moderna Pietà dei giorni nostri. E anche qui, nei due ultimi casi richiamati, emerge uno dei fili rossi del libro che è inquadrabile nella contemporaneità della poesia femminile che canta i suoi topoi, come quello della maternità, che la Marulli ben sa dipanare con originalità innovando nella tradizione un luogo, che rischia di diventare religiosamente retorico, ma che invece la nostra poetessa sa rendere molto bene con laica pacatezza e senso del sacro. Poesia lirica questa della Marulli, elegiaca, ma assolutamente non solipsistica, per quanto la frammentarietà del dettato sia affidata a squarci impressionistici, che descrivono come bozzetti di vita la quotidianità sedimentata nel pensiero. Pensiero. Parola che ricorre sovente nei versi della raccolta. Perché in fondo nella poesia di Cinzia Marulli c’è soprattutto anima e poco corpo. Difatti non c’è circostanziazione, non c’è toponomastica, non c’è, almeno sembra, il tempo, così come latita lo spazio. Ci sono solo i tempi e gli spazi dell’anima. Cartesiano il dettato. Aereo, pneumatico, leggero. Una leggerezza che non si affida, come dicevo, al significante, ma mira soprattutto al significato. Ed è questo il pregio della poesia della Marulli, in un momento come il nostro, nel quale la poesia, come è stato detto, mira più all’aggettivazione che non alla sostantificazione. Anche se va detto che nelle prossime prove ci aspettiamo dalla nostra poetessa un maggior lavorio sulla parola, affinchè i pensieri, che crescono nella mente come coriandoli di idee, escano dall’ipostatizzazione e si incarnino sulla parola stessa, dando la possibilità non solo di vedere, ma di toccare con mano le passioni dell’anima, di cui ella è abile artefice nella loro rappresentazione.

domenica 7 agosto 2011

L'amicizia: Anna Giordano scrive a Cinzia Marulli su Agave

Riporto di seguito l'e-mail che Anna Giordano mi ha inviato oggi e colgo l'occasione per ringraziarla pubblicamente per le sue parole così sentite e sincere che mi hanno emozionato profondamente-
                                                                                                     Cinzia Marulli




 Oggetto: Agave 
 Da: annagrdn@hotmail.com 
A: "Cinzia Marulli"<marullicinzia@libero.it>
Data: 06/08/2011 22:18 

Mia cara Cinzia,

sono qua davanti alle tue poesie. Oggi mi è giunto il tuo libro “AGAVE”, non immagini l’emozione che ha provocato in me averlo fra le mani…
l’ho aperto ed ho letto le tue poesie e, come avvenne qualche tempo fa, ricordi? Mi sono emozionata a tal punto da piangere di gioia per la bellezza dei sentimenti che esprimi nella semplicità dei tuoi versi, nettare puro dell’anima che li ha generati.
Ho come l’impressione d’essere presa per mano dalle tue emozioni e invitata ad entrare nel giardino della tua anima, ho condiviso l’essenza che questo fiore particolare emana, e che inebria lo spirito.
Ho pianto perché ci sei riuscita, la gioia è grande, sono contentissima che tu abbia realizzato il tuo piccolo grande sogno.
Il tuo libro è bellissimo, curato nei particolari… ricordo, quando insieme, mi hai fatto parte delle tue idee
mentre mi indicavi il quadro sulla parete di casa tua domandandomi cosa ne pensassi, se sarebbe stato adatto per la copertina…
Leggemmo insieme i versi delle tue delicate poesie e l’emozione fu grande per me nello scoprire la loro bellezza.
Cinzia cara, ti auguro di raccogliere da questo fiore il frutto da te coltivato con tanto amore, meriti il meglio poiché sei una persona speciale e profondamente sensibile e dolce come lo sono le tue poesie nelle quali ti ritrovo.
Ti abbraccio forte e sono fiera di esserti amica.
Con affetto.
Anna

giovedì 4 agosto 2011

Gian Piero Stefanoni: “In un tuffo mi rotondo”, per "Agave” di Cinzia Marulli Ramadori

Nel futuro ci sarà di sicuro/ la chiarezza della vita e dell’amore”.


pubblicata su Literaty

Il percorso di lettura di questo libro è partito curiosamente per me dapprima dalla conoscenza diretta dell’autrice, con la quale ho avuto la fortuna di condividere nell’ultimo anno esperienze poetiche importanti (dall’omaggio a Manzù di “S’impalpiti materia” al reading di “Ammaro amore” alla Garbatella) ma della cui scrittura- lo confesso- sapevo ben poco. Ciò che con amore e presenza è trasmesso tanto naturalmente dalla Marulli nella vita, in quella treccia di luce con cui avvolge e a tratti incorona di prossimità chi le è vicino, ritrovo qui intatto e limpido nella cura del mondo che verso dopo verso fiorisce con tanta intensità nel testo.  Ciò, oltre a spiegare la grazia di una figura che reputa e dilata nell’incontro il proprio vortice , dimostra ancora una volta come nell’interrogazione della lingua poetica sia iscritta quella possibilità -che già in sé è anima- in cui l’umano, nella sua restituzione, facendosi ritmo si compie.  Ed allora davvero il fiorire, come dicevamo, è nell’offerta il dono a cui l’autrice ci chiama, consapevole per intelligenza e vicenda personale che vero ingemmare è capacità di respiro che sorge anche dal rischio, frutto ribelle che pure nell’ oscurità cerca varco in tensione di vita. Nell’ agave del titolo si incarna questa lotta, nella traccia paziente di sé con cui finalmente dalla radice esce e si apre alla terra. L’agave, nella cui fioritura si cela la morte della pianta da cui nasce, è la sapiente metafora con cui la Marulli si racconta e si consegna alla vita, in un sigillo quasi evangelico di richiami e risonanze che dell’uno dice il molteplice nel sangue da cui rinasce.  Così già dai titoli si fa dinamica questo sì deciso che coinvolge il lettore in un processo di luce. “Radice”, “Fiore”, “Amnios”, “Aere” e “Amore”, le sezioni. “Ventre”, “Grembo”, “Maternità”, “Vita”, “Luce”, ed ancora “Acqua”, “Marea, “Deserto”, alcuni dei titoli.  Dalla radice al fiore che nell’aria e all’acqua si espande libero, la forma e la sostanza di una femminilità celebrata nella peculiarità dei suoi petali, colori di un universo che raccogliendoci qui si contempla. “La forza compare sotto il manto di luce/ fierezza di donna fierezza di pace/ che stringe e protegge che nulla sconfigge/l’amore più grande che tutt perdona” (“Nel grembo”). Perché è un racconto di tante donne questo canto in cui si leva per ognuna il ringraziamento. Dalla madre (osservata e sofferta nella malattia che la dissecca), alla preziosità delle amiche, alla piccola dolce Roberta, figure, tra le tante, da cui quotidianamente riparte ogni volta il mondo e nella cui ancestralità di nominazione  si racchiude il motivo del nostro stesso mistero: dalla nascita dar nascita. La maternità di cui ci parla, e che ha qui nel disegno del figlio la centralità del dettato, è di fatto anche una maternità di spirito in cui concretamente, nella saldezza che sa d’ogni maturità la fatica e la veglia, l’uomo stesso può trovare nuovi paradigmi di forza per quella vigilanza d’ascolto e per quel trasporto del peso, nel mondo, che è la raccomandazione e la direttrice verso cui ci spinge questa poetessa- tanto fiera e tanto umile nel suo contrapporsi tra l’altro dove può perdersi il seppur minimo eco di coscienza civile.
In conclusione, a questa maternità (che è poi anche l’humus d’ogni vera  poesia) Cinzia nell’approdo ci affida, in attesa e nell’augurio di ritrovarci  insieme nel grembo. Definitivamente e senza più spine nel nostro elemento accordati.      

La poesia ha radice nell'anima: Michela Zanarella su Agave di Cinzia Marulli (LietoColle 2011)

La poesia ha radice nell’anima. “Crescesti come pianta/rampicante/avvinghiandoti alla vita. Nel fiore esprimesti/il tuo sentire.” Questi sono solo alcuni versi estratti dalla raccolta di Cinzia Marulli “Agave”, ed. Lieto Colle, che dimostrano la sensibilità poetica dell’autrice.
L'Agave è una pianta meravigliosa e imponente che ha la particolarità di fiorire una sola volta in tutta la sua vita per poi morire. Nell'ottocento l'Agave rappresentava il sentimento della sicurezza e della stabilità, probabilmente legato al fatto che questa pianta, data la sua maestosità, non fa immaginare la morte o la distruzione.
La figura di Cinzia Marulli è strettamente legata all’immagine dell’Agave, a quell’unicità nel fiorire ed essere Vita: “Figlio/io sono Agave/nel suo fiore/svetta/il mio amore.” Lo stesso Eugenio Montale nella poesia “L’Agave sullo scoglio” paragona il suo esistere (passaggio sulla terra) a questa pianta grassa, tipica dei terreni rocciosi e aridi. Il poeta cerca quindi di superare le situazioni avverse dell’esperienza umana, come il fiore della pianta che fatica a fiorire, ma vorrebbe esplodere. Cinzia Marulli formula una originale testimonianza di quotidiane emozioni, ci rivela la sua storia di donna, figlia e madre, manifestando tutto l’amore che pulsa nel suo intimo e femminile sentire. “Io anche fui figlia/di catene avvinta/e/di te/ora/figlio/sono madre”. Anche la scrittrice Nella Cusumano Lombardo nella sua opera “L’Agave fiorita” riflette sul legame di questa pianta con il suo cammino esistenziale, ripercorrendo istanti ed affetti familiari che hanno segnato il suo modo di essere e la sua vita.
L’opera di Cinzia Marulli si trasforma in necessità di andare oltre la parola, si fa urgenza di sensazioni e sentimenti per deviare ed allontanare il dolore. I versi “esplodono” come quel fiore che richiama insistente la bellezza del nascere ed il repentino dissolversi nel nulla. Si alternano luci ed ombre, impennate di vita e di sofferenza , che assegnano alla scrittura una funzione di sfogo e confessione. La poetessa affronta le complicazioni di una vita fatta di “labirinti di paura” e “strascicati versi” affidando la sua fragile voce ad una linfa espressiva che è amore e speranza universale. “Agave” è da considerarsi un volume “ di verità e di luce” che, per l’intimità dei testi e per l’intensità del linguaggio, contiene interessanti contributi di sincera ed umana ispirazione.
Nella poesia di Cinzia Marulli “Il cuore si spalanca/ed abbraccia la vita”.

Michela Zanarella per www.apostrofando.it

lunedì 1 agosto 2011

Cinzia Marulli Ramadori: L’emozione del verso (leggendo “Intrecci di Rime” di Davide Benincasa (Edizioni Occhi di Argo)

Nei vari incontri poetici ai quali ho avuto il piacere di partecipare spesso si discute intorno ad una domanda assillante: “come si fa a riconoscere un verso?”
Infatti il modernismo, lo sperimentalismo, le avanguardie e anche il post-modernismo hanno praticamente abolito (o forse anche condannato) l’uso della metrica classica cadendo così in una sorta di anarchia del verso che ha visto, tra l’altro, l’improvvisarsi di presunti poeti che avevano, in realtà, come unica capacità, quella di “saper andare a capo” dopo tre o quattro parole, credendo in tal modo di dare sfogo alla propria vena creativa esprimendosi poeticamente.
Ma il verso libero non è affatto così semplice e non presuppone la mancanza di conoscenza del passato e quindi anche della metrica. Anzi il verso libero nasce da essa e da essa si evolve.
Nella Cina antica l’artista, il pittore prima di avviarsi verso un percorso autonomo e personale trascorreva anni a copiare i grandi maestri del passato non solo per imparare la tecnica ma anche perchè era credenza che in tal modo lo spirito del maestro avrebbe rivissuto nell’allievo. C’è forse una cosa più vera di questa? Quando noi leggiamo e rileggiamo le poesie dei grandi maestri del passato essi in realtà non tornano a rivivere in noi?
Jorge Luis Borges nelle sue lezioni americane tenute alla Columbia University affermò  che inserire anche inconsciamente in una propria poesia un verso o parte di un verso di una poesia famosa non è copiare, ma è far rivivere quel grande poeta che è entrato così tanto dentro di noi da sentirlo totalmente nostro.
Non un caso, dunque, che ultimamente mi capita di incontrare poesia contemporanea profondamente inserita nella nostra migliore tradizione metrica. Cito ad esempio Salvatore Martino con la sua raccolta “Nella prigione azzurra del sonetto” (LietoColle 2009) con la quale e tramite la quale afferma a voce alta la necessità di tornare ad una costruzione poetica organica e strutturata secondo, appunto, le regole del sonetto inserendosi però non in un contesto banalmente tradizionalista, ma evidenziando invece la modernità di tale scrittura poetica. Anche Giorgio Linguaglossa nella sua opera critica “la nuova poesia modernista” (Edilet 2010 – pag 72)   definisce Martino come un poeta “modernamente lirico”.   
E’ ovvio, va da sè, che le regole, ovvero la tecnica deve necessariamente essere unita alla sostanza in un connubio che, unico, crea “poesia” e Martino è di sicuro un esempio splendido di ciò.
Potrei citare molti altri poeti odierni che sentono nuovamente il desiderio (o forse la necessità) di abbracciare la tradizione; e in tale contesto s’inserisce protagonista Davide Benincasa con la sua raccolta “Intrecci di Rime” (Occhi di Argo Edizioni). Profonda, finissima è la conoscenza della metrica  che porta il Benincasa ad affrontare un percorso addirittura sperimentale attraverso di essa esaltando una ritmica ricercatissima e sonora tanto da sentire il bisogno di inserire a pre-testo un indice delle poesie con una chiarissima specificazione del verso e della rima usate.
E’ dunque indiscusso il forte richiamo che la poesia di Davide Benincasa ha nei confronti dei grandi maestri del passato e nei suoi versi tutti loro rivivono più contemporanei e moderni che mai.
Ma di certo non possiamo fermare il discorso poetico alla sola questione formale perchè molta sostanza è espressa in quei novenari, i quegli endecasillabi  e perfino nei senari di Davide Benincasa.
Il libro, “Intrecci di rime” si apre con una poesia dal suono dolcissimo e mesto, “Sussurri del cuore: è un vero canto dell’animo umano, un dialogo intimo e profondo che esalta il sentimento. Il poeta ci dice che è nel profondo sentire la vera essenza della vita capace addirittura di sconfiggere il tempo ...Cullano lievi nel vento del tempo/volan lontano attraverso le ore,/e ad altri affidano i loro segreti./...
Siamo dunque di fronte ad una poesia di grande interiorità nella quale si evidenzia il viaggio dell’uomo alla ricerca di valori eterni.
Forte è anche il senso del dolore, compagno immancabile dell’essere umano, come leggiamo nella poesia “Pagine di un diario sfiorito”: Assorto, il mio sguardo rivolgo al mare,/mentre sorgivo, un alito di vento,/ribelle danza e allevia il mio tormento,/corollario di ampie pagine amare./...  Tuttavia tale tormento è sempre accompagnato da uno sguardo rivolto al bene e al futuro: ... Affannato, osservo le acque più chiare,/gettando avanti lo sguardo...
La poesia “Sogno di una fuga dal Mondo” è una poesia di grande rilevanza: ci richiama alla mente “il male di vivere” di Montale (pensiamo ad esempio alla poesia “L’Agave sulla scoglio” nella raccolta “Ossi di Seppia”). Benincasa infatti non può fare a meno di scrivere: ...calca di gente che inconscia s’ammassa/nell’ipocrisia di una vita sorda;/sbiadita e piatta essa ci annulla e passa./...
Poche incisive parole che mettono in evidenza una visione pessimistica non solo della realtà ma anche della società, e che danno origine nel verso seguente ad un sospirato desiderio di evasione (Vago, solingo, in un altro universo/), ad un anelito di infinito creando così un chiaro e delicato collegamento con il nostro Leopardi. Infatti attraverso la presa di coscienza dei limiti dell’esistenza (il colle e la siepe leopardiane) avviene il viaggio nel proprio io, nella propria immaginazione, nel proprio pensiero ove per poco il cor non si spaura e nasce anche in Benincasa il desiderio d’infinito: ...Navigo libero solcando i cieli,/ volo attraverso distese d’oceani...
Tuttavia in Davide c’è un ritorno alla realtà amara, alla routine: l’impossibilità dell’uomo di fuggire davvero e la pacata accettazione di un’evasione onirica quale unica salvezza sia pur temporanea; ma si evidenzia anche il ruolo importantissimo della poesia che diviene per il poeta stesso mezzo di evasione.
Seguono poi quattro poesie dedicate alle stagioni: “Primavera”, “Estate” “Autunno” e “Inverno”: sono pennellate di luce, di colore, di sentimento. In esse si evidenzia una natura benigna intesa come rifugio dell’anima, riparo estatico al dolore cosmico, c’è l’anelito al ritorno ad una vita semplice, rupestre, che riporti l’uomo ad un maggiore e più sentito rapporto con la natura. Essa diviene anche compagna nel ricordo di un passato sereno, di una infanzia felice che precede la scoperta dell’amarezza del mondo.
Estremamente interessante è anche la lirica “Cantico antico d’Amore e d’Offesa” nella quale torna a farsi sentire la visione pessimistica del poeta simboleggiata da una vicenda forse realmente vissuta e nella quale troviamo un abile passaggio dalla narrazione epico-storica a quella contemporaneo-contestuale.
Un’unica poesia è dedicata al mare: “Assonanze marittime”, pochi versi che racchiudono però tutto il discorso poetico fatto fin ora. Capolavoro di sintesi e di musicalità che entrano profondamente nell’animo.
Molto altro si potrebbe dire intorno alla poesia di Davide Benincasa, sia da un punto di vista contenutistico che formale: il saper affrontare tutti gli argomenti che abbracciano il senso dell’umano, l’uso oculato e sapiente  dell'enjambement, l’incisività semantica degli ossimori, la ricerca puntuale della parola. Insomma siamo di fronte ad un poeta completo che ci ha donato un piccolo gioiello, un Intreccio di Rime prezioso e intenso del quale noi tutti dobbiamo fare tesoro.

                                                                                                                Cinzia Marulli Ramadori