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lunedì 1 agosto 2011

Cinzia Marulli Ramadori: L’emozione del verso (leggendo “Intrecci di Rime” di Davide Benincasa (Edizioni Occhi di Argo)

Nei vari incontri poetici ai quali ho avuto il piacere di partecipare spesso si discute intorno ad una domanda assillante: “come si fa a riconoscere un verso?”
Infatti il modernismo, lo sperimentalismo, le avanguardie e anche il post-modernismo hanno praticamente abolito (o forse anche condannato) l’uso della metrica classica cadendo così in una sorta di anarchia del verso che ha visto, tra l’altro, l’improvvisarsi di presunti poeti che avevano, in realtà, come unica capacità, quella di “saper andare a capo” dopo tre o quattro parole, credendo in tal modo di dare sfogo alla propria vena creativa esprimendosi poeticamente.
Ma il verso libero non è affatto così semplice e non presuppone la mancanza di conoscenza del passato e quindi anche della metrica. Anzi il verso libero nasce da essa e da essa si evolve.
Nella Cina antica l’artista, il pittore prima di avviarsi verso un percorso autonomo e personale trascorreva anni a copiare i grandi maestri del passato non solo per imparare la tecnica ma anche perchè era credenza che in tal modo lo spirito del maestro avrebbe rivissuto nell’allievo. C’è forse una cosa più vera di questa? Quando noi leggiamo e rileggiamo le poesie dei grandi maestri del passato essi in realtà non tornano a rivivere in noi?
Jorge Luis Borges nelle sue lezioni americane tenute alla Columbia University affermò  che inserire anche inconsciamente in una propria poesia un verso o parte di un verso di una poesia famosa non è copiare, ma è far rivivere quel grande poeta che è entrato così tanto dentro di noi da sentirlo totalmente nostro.
Non un caso, dunque, che ultimamente mi capita di incontrare poesia contemporanea profondamente inserita nella nostra migliore tradizione metrica. Cito ad esempio Salvatore Martino con la sua raccolta “Nella prigione azzurra del sonetto” (LietoColle 2009) con la quale e tramite la quale afferma a voce alta la necessità di tornare ad una costruzione poetica organica e strutturata secondo, appunto, le regole del sonetto inserendosi però non in un contesto banalmente tradizionalista, ma evidenziando invece la modernità di tale scrittura poetica. Anche Giorgio Linguaglossa nella sua opera critica “la nuova poesia modernista” (Edilet 2010 – pag 72)   definisce Martino come un poeta “modernamente lirico”.   
E’ ovvio, va da sè, che le regole, ovvero la tecnica deve necessariamente essere unita alla sostanza in un connubio che, unico, crea “poesia” e Martino è di sicuro un esempio splendido di ciò.
Potrei citare molti altri poeti odierni che sentono nuovamente il desiderio (o forse la necessità) di abbracciare la tradizione; e in tale contesto s’inserisce protagonista Davide Benincasa con la sua raccolta “Intrecci di Rime” (Occhi di Argo Edizioni). Profonda, finissima è la conoscenza della metrica  che porta il Benincasa ad affrontare un percorso addirittura sperimentale attraverso di essa esaltando una ritmica ricercatissima e sonora tanto da sentire il bisogno di inserire a pre-testo un indice delle poesie con una chiarissima specificazione del verso e della rima usate.
E’ dunque indiscusso il forte richiamo che la poesia di Davide Benincasa ha nei confronti dei grandi maestri del passato e nei suoi versi tutti loro rivivono più contemporanei e moderni che mai.
Ma di certo non possiamo fermare il discorso poetico alla sola questione formale perchè molta sostanza è espressa in quei novenari, i quegli endecasillabi  e perfino nei senari di Davide Benincasa.
Il libro, “Intrecci di rime” si apre con una poesia dal suono dolcissimo e mesto, “Sussurri del cuore: è un vero canto dell’animo umano, un dialogo intimo e profondo che esalta il sentimento. Il poeta ci dice che è nel profondo sentire la vera essenza della vita capace addirittura di sconfiggere il tempo ...Cullano lievi nel vento del tempo/volan lontano attraverso le ore,/e ad altri affidano i loro segreti./...
Siamo dunque di fronte ad una poesia di grande interiorità nella quale si evidenzia il viaggio dell’uomo alla ricerca di valori eterni.
Forte è anche il senso del dolore, compagno immancabile dell’essere umano, come leggiamo nella poesia “Pagine di un diario sfiorito”: Assorto, il mio sguardo rivolgo al mare,/mentre sorgivo, un alito di vento,/ribelle danza e allevia il mio tormento,/corollario di ampie pagine amare./...  Tuttavia tale tormento è sempre accompagnato da uno sguardo rivolto al bene e al futuro: ... Affannato, osservo le acque più chiare,/gettando avanti lo sguardo...
La poesia “Sogno di una fuga dal Mondo” è una poesia di grande rilevanza: ci richiama alla mente “il male di vivere” di Montale (pensiamo ad esempio alla poesia “L’Agave sulla scoglio” nella raccolta “Ossi di Seppia”). Benincasa infatti non può fare a meno di scrivere: ...calca di gente che inconscia s’ammassa/nell’ipocrisia di una vita sorda;/sbiadita e piatta essa ci annulla e passa./...
Poche incisive parole che mettono in evidenza una visione pessimistica non solo della realtà ma anche della società, e che danno origine nel verso seguente ad un sospirato desiderio di evasione (Vago, solingo, in un altro universo/), ad un anelito di infinito creando così un chiaro e delicato collegamento con il nostro Leopardi. Infatti attraverso la presa di coscienza dei limiti dell’esistenza (il colle e la siepe leopardiane) avviene il viaggio nel proprio io, nella propria immaginazione, nel proprio pensiero ove per poco il cor non si spaura e nasce anche in Benincasa il desiderio d’infinito: ...Navigo libero solcando i cieli,/ volo attraverso distese d’oceani...
Tuttavia in Davide c’è un ritorno alla realtà amara, alla routine: l’impossibilità dell’uomo di fuggire davvero e la pacata accettazione di un’evasione onirica quale unica salvezza sia pur temporanea; ma si evidenzia anche il ruolo importantissimo della poesia che diviene per il poeta stesso mezzo di evasione.
Seguono poi quattro poesie dedicate alle stagioni: “Primavera”, “Estate” “Autunno” e “Inverno”: sono pennellate di luce, di colore, di sentimento. In esse si evidenzia una natura benigna intesa come rifugio dell’anima, riparo estatico al dolore cosmico, c’è l’anelito al ritorno ad una vita semplice, rupestre, che riporti l’uomo ad un maggiore e più sentito rapporto con la natura. Essa diviene anche compagna nel ricordo di un passato sereno, di una infanzia felice che precede la scoperta dell’amarezza del mondo.
Estremamente interessante è anche la lirica “Cantico antico d’Amore e d’Offesa” nella quale torna a farsi sentire la visione pessimistica del poeta simboleggiata da una vicenda forse realmente vissuta e nella quale troviamo un abile passaggio dalla narrazione epico-storica a quella contemporaneo-contestuale.
Un’unica poesia è dedicata al mare: “Assonanze marittime”, pochi versi che racchiudono però tutto il discorso poetico fatto fin ora. Capolavoro di sintesi e di musicalità che entrano profondamente nell’animo.
Molto altro si potrebbe dire intorno alla poesia di Davide Benincasa, sia da un punto di vista contenutistico che formale: il saper affrontare tutti gli argomenti che abbracciano il senso dell’umano, l’uso oculato e sapiente  dell'enjambement, l’incisività semantica degli ossimori, la ricerca puntuale della parola. Insomma siamo di fronte ad un poeta completo che ci ha donato un piccolo gioiello, un Intreccio di Rime prezioso e intenso del quale noi tutti dobbiamo fare tesoro.

                                                                                                                Cinzia Marulli Ramadori

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