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domenica 26 febbraio 2017

Il potere della purezza: Signorine in trans di Cinzia Berni e Francesca Nunzi - Compagnia teatrale MasKere

Domenica19 febbraio 2017,  è andata in scena presso il teatro Palarte di Fabrica di Roma la commedia “Signorine in trans” scritto da Cinzia Berni e Francesca Nunzi e interpretato dalla compagnia teatrale “Maskere” con la partecipazione degli attori Nadia Bruno, Sara Tesco, Maurizio Gualtieri e Marco Tosi per la regia di Nadia Bruno. 
Una commedia che vale veramente la pena di andare a vedere. Bella, bella, bella. E la sua bellezza non è data solo dalla capacità del testo e degli attori di far divertire gli spettatori, ma soprattutto dall’encomiabile capacità di affrontare attraverso un format leggiadro e divertente tematiche profonde e per loro natura serie. Non intendo fare paragoni con il teatro di De Filippo, che è stato maestro in quest’arte portando in scena opere di grandissimo spessore umano e sociale celate dal riso e dal divertimento. Signorine in trans ripercorre questa strada e ci riesce benissimo. Così troviamo il dolore e lo smarrimento dal distacco verso una persona molto amata e parte fondamentale della nostra esistenza. La morte di Ida che si era sempre occupata della sorella minore, Ada, getta quest’ultima non solo nel dolore ma anche nell’immensa difficoltà di affrontare la vita quotidiana. Viene dunque a mettersi in evidenza l’importanza dell’insegnamento della resilienza di cui tanto si parla oggi nei confronti dell’attuale sistema educativo. Già nei primi momenti di scena, con poche e apparentemente divertenti battute si affrontano temi come la morte, il dolore, il distacco, la resilienza, lo smarrimento. Dietro alla battuta ripetuta costantemente da Ada durante tutta l’opera “troppe cose, troppe cose” e che tanto ha il divertito il pubblico si celano sentimenti forti e che appartengono alla vita di tutti noi. Ma quali sono gli ingredienti per uscire dalla situazione di disperazione nella quale è caduta Ada? Ce lo dice proprio la commedia che evidenzia come l’amicizia e l’amore siano le uniche e vere ancore di salvezza per sconfiggere il buio del nostro animo.  Così l’amico e vicino di casa Gianni/Maurizio Gualtieri viene in soccorso della sprovveduta Ada dimostrando il potere infinito dell’amicizia. Perché gli amici si riconoscono nel momento del bisogno e Gianni è lì pronto ad aiutare la sua amica.

Queste sono solo alcune della tematiche che rendono spessa quest’opera, ma il come esse vengono affrontate fa di questa commedia un capolavoro: qui l’essere umano torna a uno stato di purezza primordiale. Ada è un’adulta-bambina personificando quel “fanciullino” che è all’interno di ognuno di noi e facendoci comprendere come la mancanza di sovrastrutture mentali, come la purezza dell’animo, che è sola dei bambini, è quella parte più bella e solare che esiste in noi.  Tutta la commedia ci porta dunque a una dimensione di fiaba attraverso l’inserimento di canzoni cantate mirabilmente da Ada/Nadia Bruno fino a giungere all’apice nella scena finale dove Massimo/Marco Tosi impersona un romanticissimo Robin Hood. E qui non svelo oltre altrimenti rovinerei il finale ai prossimi fortunati spettatori.
Ma ancora devo soffermarmi su un  altro personaggio della commedia: Ida, interpretato da Sara Tesco.  Ida è la sorella morta che appare durante tutta la commedia. E questa forse è la tematica più intensa di essa. Ida rappresenta la morte, ma ossimoro di se stessa, anche l’immortalità di coloro che abbiamo amato e che continuano a vivere in noi attraverso quell’ingrediente fondamentale senza il quale non esisterebbe la vita: l’amore.

Insomma, potrei parlare ancora molto di quanto mi abbia rapito questa commedia ma lascio ora il testimonial a chi andrà a vederla. Posso solo confermare i miei complimenti per la bravura degli attori ai quali non mi rimane che dire semplicemente: bravi, bravi, bravi.
Cinzia Marulli

giovedì 9 febbraio 2017

Anteprima "La casa delle fate" di Cinzia Marulli

In uscita a marzo "La casa delle fate" per le Edizioni La Vita Felice, raccolta vincitrice della prima edizione del Premio di Poesia Casa Museo Alda Merini (Giuria: Vivian Lamarque, Franco Buffoni, Sergio Bozzola, Diana Battaggia, Rita Pacilio, Giovanni Nuti, Bruna Colacicco e Vincenzo Costantino). 

Nota dell'autrice


Per circa due anni ho portato avanti un laboratorio di poesia all’interno di una casa di riposo per donne anziane. Un’esperienza che mi ha fatto conoscere da vicino la condizione della terza età, forse quella meno privilegiata, più afflitta da problemi fisici e di malattia. Le case di riposo sono luoghi dove esistono situazioni di solitudine se non addirittura di abbandono da parte di figli e parenti lontani, ma anche di figli costretti a causa degli impegni lavorativi a “ricoverare” i propri genitori non più autosufficienti o totalmente invalidi. Sono situazioni complesse, ingiudicabili, che evidenziano una condizione difficile che andrebbe gestita con grande umanità. L’idea di questo laboratorio è nata spontanea dopo un breve ricovero di mia madre presso una di queste strutture, ricovero al quale sono dovuta ricorrere perché nessuna clinica riabilitativa pubblica aveva accettato di curarla a seguito di una frattura gravissima.  In questo luogo, che mia madre stessa chiamò la casa delle fate, ho potuto offrirle una riabilitazione che l’ha portata a camminare di nuovo, piccoli passetti, ma dall’enorme significato per una persona che si ritrova a vivere con un corpo morto e alla quale sono preclusi i più piccoli e umili gesti della quotidianità. Pur essendo un luogo estraneo era comunque una struttura buona perché consentiva alle famiglie di rimanere accanto ai propri anziani, di collaborare fattivamente nella gestione e di rimanere anche a dormire insieme a loro. Durante le mie visite ho iniziato, quasi per gioco, a leggere alle signore ospiti delle poesie. Si è aperto un mondo. La loro risposta è stata eccezionale. Mi attendevano ogni giorno pronte ad ascoltare i testi che avevo preparato per loro per poi lasciarsi andare ai ricordi, alle chiacchiere e perfino alle risate.  Il risultato nel tempo è che tutte avevano trovato un nuovo stimolo alla vita, si sentivano partecipi e attive di qualcosa che potevano fare nonostante la loro condizione fisica. Ovviamente il livello culturale era molto vario, ma non c’era una competizione di bravura e di conoscenza. La poesia le aveva rese nuovamente vive e loro erano felici.
Ho continuato questo laboratorio anche dopo la morte di mia madre, che sopraggiunse a causa dei suoi problemi cardiaci, e sono stata costretta a terminarlo perché la struttura chiuse non avendo ricevuto più i finanziamenti necessari. Fu una cosa molto triste. Era un luogo che funzionava. Era la casa delle fate.
Ho scritto questa raccolta per ricordare, perché penso che occuparsi dei nostri anziani sia un dovere ma anche e soprattutto un diritto e come tale deve essere riconosciuto e sostenuto.
Non è un libro di denuncia e tanto meno vuole essere autobiografico, ma ha l’intento pretenzioso di parlare di qualcosa che in genere è taciuto: la vecchiaia. Credo che ci riguardi tutti ed è importante prendere coscienza di questa condizione perché quello che c’è da migliorare si può migliorare, a volte veramente con poco.
Perché dunque la poesia? Perché è il mio linguaggio, Perché scava nell’oltre e nelle coscienze. Perché, come ha scritto Borges nell’Invenzione della Poesia, non esiste argomento precluso per essa. Perché credo fermamente che la poesia possa cambiare le cose e le mie fate me lo hanno dimostrato. Una cosa inutile come la poesia è stata di un’utilità incredibile davanti al cedere della vita. E Anna, Maria, Giovanna, Francesca, Vincenzina, Luisa, Anna Rita, Rosalba e Ludovica me lo hanno provato con i lori occhi tornati a splendere, sia pure adagiati su una sedia a rotelle e lontani dalle loro case.
Dedico, dunque, questi miei scritti a tutti noi che diventeremo vecchi e alle nostre famiglie affinché si ricordino che  l’amore è importante e sul finire della vita diventa assolutamente necessario.
Cinzia Marulli