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giovedì 5 aprile 2012

Dante Maffia su Agave di Cinzia Marulli Ramadori

CINZIA MARULLI RAMADORI, Agave,  Faloppio, LietoColle, 2011
Mi hanno sempre ripetuto alcuni grandi maestri della poesia e della critica letteraria come Aldo Palazzeschi, Giacinto Spagnoletti  e Mario Sansone, che di un’opera prima vanno  segnalati soltanto i meriti. Gli eventuali errori non bisogna considerarli, le eventuali cadute  bisogna ignorarle. Dunque sono andato alla ricerca soltanto dei pregi di Agave e non ho voluto sapere, non voglio sapere se per caso c’è qualcosa che non funziona. Mi sono fatto fasciare dai versi di Cinzia, prendere dalla loro umanità e dal loro sapore amicale e non mi sono sfuggiti i Ringraziamenti che illuminano un aspetto assai importante della personalità della poetessa.
Cinzia nasce dalla tradizione italiana più acclarata, ma non la imita. Anzi  ne smussa le punte aguzze, i toni altisonanti per approdare a un pacato modo di “raccontare”  evocando e cercando di descrivere i sentimenti della sua quotidianità. Parla in modo diretto (Tu sei acqua / amore mio / nella quale leggera / io nuoto); compie atti di fede con l’entusiasmo di un’adolescente  (a Nina Maroccolo, ad Anita Napolitano), adopera il vocabolario delle emozioni  aperte e  consuete: per la madre, per il figlio, per ogni incontro che ritiene importante; si confessa e guarda dritto negli occhi il lettore. Ma non è un atto di sfida o di  iattanza, semmai è la ricerca di un assenso e di un consenso, il desiderio di essere accolta come una compagna di strada che sa abbeverarsi alla poesia e non chiede altro.
Credo che il cammino di Cinzia, appena cominciato, le darà grandi soddisfazioni, perché possiede una grande passione per il mondo delle lettere e possiede il calore necessario per inseguire le sirene del canto.

Dante Maffìa

Vanna Corvese su Agave di Cinzia Marulli Ramadori

Caserta, 2 aprile 2012                                             
  
 “AGAVE”
di Cinzia Marulli Ramadori
 Note di  Vanna Corvese

[Ho ricevuto la silloge di Cinzia quando volevo lasciar perdere ogni iniziativa di presentazione di libri. Questo però m’incuriosiva; avevo letto l’esergo e il ritratto poetico di Anita Napolitano  e mi piaceva la bella copertina con l’uccello di fuoco di Andrea Leoni, ma lo lasciavo stare lì bene in vista nello scaffale delle ultime pubblicazioni, senza decidermi. Solo dopo un po’ di tempo ho cominciato a leggerlo.]

 Mi ha colpita allora lo slancio lirico e l’unità d’ispirazione di questa opera prima. Il cuore della raccolta è racchiuso nell’esergo, che è nello stesso tempo dedica e incipit del libro:   
                                               Figlio
                                                         io sono  Agave
                                                                 nel suo fiore
                                                                     svetta
                                                                il mio amore
 L’amore è il filo rosso del percorso di Cinzia nella vita e nella scrittura e lega i quattro elementi, che corrispondono alle quattro sezioni del libro: radice, fiore, amnios e aere.
 L’agave, che si erge dritta e forte sul fusto, è una pianta ben radicata nella terra, fiorisce una sola volta e dopo aver raggiunto la sua pienezza, muore.  Ha numerose spine all’apice e ai margini delle foglie. Dunque il dono che reca gioia, il fiore, si accompagna alla presenza dolorosa degli aculei. Cinzia si affida alle immagini che germinano da questa metafora per esprimere il miracolo della vita, che ha in sé dolore e bellezza e si estende gradualmente oltre la cerchia degli affetti familiari.
In questa raccolta l’autrice cerca l’equazione tra slancio creativo e forma compiuta, tra passione e costruzione sapiente.
Tradurre in linguaggio poetico l’esperienza della maternità ha creato un ponte tra ciò che è indicibile, tumultuoso, oscuro  e ciò che è limpido, dominato dalla ragione. Nonostante la prevalenza di toni intimistici, i versi manifestano una forte coscienza di donna provata dalle difficoltà della vita. L’esperienza, limitata ma vissuta profondamente, la rende capace di comprendere condizioni di sofferenza diverse dalle sue, per esempio quelle causate dalla violenza del potere criminale:  in una lirica intitolata “Si straziano i silenzi”, trasfonde il suo amore della vita in accenti forti di indignazione civile per l’uccisione di Peppino Impastato, dedicando i versi non solo a tutti i giovani che si sono ribellati alla mafia, ma anche alle loro madri (pag.18).
 Il suo sguardo, così attento a ciò che è dentro di lei e vicino al suo mondo, è capace di spaziare anche lontano.
Nel libro esprime  il mistero della nascita che fiorisce nel grembo, e poi la vicinanza fisica, il legame forte con la piccola vita affidata a lei,  ma nello stesso tempo i suoi versi rivelano una precisa cifra spirituale: l’amore materno si estende ad altri aspetti dell’esistenza e a eventi interiori, anzitutto al sentimento dell’amicizia, che ha diversi gradi, nasce da un’affinità profonda con un’altra donna nella quale scopre che la passione e il dolore diventano poesia [“Ad Anita Napolitano” ].
Questo afflato approda a una forma alta e commossa nell’ultima poesia, “Carla e Roberta”, che costituisce la preziosa appendice intitolata AMORE, quasi il suggello della raccolta. Roberta è una donna autistica. Carla è la madre di Roberta.
C’è un percorso unitario nelle quattro sezioni, RADICE (terra), FIORE (figlio e fuoco della giovinezza), AMNIOS (acqua, liquido amniotico), AERE (aria) .
1] Il grembo che esplode al vagito della vita è la terra e la radice. (p.14) È nel corpo-materia che cresce il  fiore-figlio. Il corpo si dona in un abbraccio, ed è qui che nasce la speranza di un amore più vasto.
Il questa realtà fisica e spirituale c’è anche il radicarsi dei sentimenti e delle scelte fondamentali, anche eroiche, di un’umanità dolente.
Il grembo è anche quello della madre morente. Cinzia attende l’ultimo alito e invoca un solo secondo per stringerla al petto/per tornarle nel grembo (pag.19). Di fronte all’ictus il dolore si traduce in un linguaggio metaforico sorprendente:
    non più parole /ma strascicati versi e /occhi persi /       nel bianco dell’oscurità/ il corpo non risponde/ è tronco d’albero senza radice…
L’esperienza della terapia intensiva a cui è sottoposta la persona cara ispira accenti duri, quasi violenti, nelle immagini  di “Tubi dissonanti”  (pag.23) della terapia intensiva sembrano meduse / che si avvinghiano / a corpi fatiscenti /…
La sezione si conclude con un canto d’amore esteso a tutta un’umanità dolente (pag. 26) 
 Ed è nel grembo che nasce la speranza /di creare finalmente quel sentire /che ogni anima dovrebbe sempre ricordare /anche quando s’incrociano gli sguardi / di tante persone ignare e sconosciute
In una lirica la speranza è detta “piuma” con una metafora insolita.
2] Il tema della maternità si sviluppa poi nei versi della seconda sezione, “FIORE”, dove prevale il senso della vita che cresce nella realtà della nuova generazione. In “Logopedia” la tenerezza materna segue il silenzio, ed il lieve esitare del … balbettio/ Quella parolina sospesa sul respiro. (pag. 33)  Il figlio con mille colori disegna il suono disperatamente e infine urla i suoi colori. E ad ogni alba ritrovata la luce inonda la mente della madre e il cuore si spalanca / ed abbraccia la vita. (30).
Cinzia ha uno sguardo attento sull’adolescenza, che appare inconsapevole degli eventi e manifesta il disagio nei silenzi, nei giochi beffardi e nelle lacrime di rabbia (pag.34).
 Sa cogliere il trepidare della gioventù insicura nella “Notte prima degli esami” (pag.36)
Nella poesia Acrobata (35) c’è un’immagine che traduce uno stato d’animo con una forma audace di sinestesia:   Gli sguardi / velati dall’incertezza /  intingono i pennelli / nei colori della speranza.
3] Nella sezione AMNIOS, l’acqua è celebrata come l’elemento che accoglie e fa crescere anche i pensieri. Qui la parola si collega al tema del sogno e del silenzio, sullo sfondo marino. Sono molteplici i significati della voce, intesa in senso proprio e metaforico: a volte si ascoltano “I sospiri del mare” (pag.49) dove  il pensiero fluisce verso l’orizzonte / tra le freschezze azzurre degli ariosi pensieri;  altre volte il vento soffia sulle foglie /  e il corpo si piega / al fluire della marea (51); oppure soffia il “Maestrale”(p.48)  ed è un vagare solitario / tra la risacca del tempo.
4] L’ultima sezione, “AERE” ci fornisce interessanti indizi sulla scelta della scrittura, collegata alla contemplazione della bellezza e alla profondità dello sguardo sulla realtà.
Il discorso prende forma con un ricco linguaggio metaforico:         (pag.59)
Straripa l’inchiostro / dagli argini della mia anima /è  un fluire nero e tumultuoso / sul bianco foglio della ragione.
Il compito della scrittura poetica non è facile. A volte le forti emozioni diventano urlo di ribellione, come nella poesia dedicata ad Anita (pag 72 )
  La tua penna ha inciso nella roccia
 la rabbia sconfortante dell’offesa…
 È adombrata altrove la presenza di una guida. Il maestro è visto “silenzioso / camminare tra pareti di carta”, a lui si rivolge (pag.62) quando cerca di definire una forma di poesia:
                                                        ed io sono lì
                                                        nascosta nel buio
                                                        e ascolto nell’aria
                                                        la tua poesia
                                                        rompere il silenzio

                                                        è come breccia
                                                        nella roccia
                                                        che implode

                                                        ora
                                                        vedo la via
                                                        frammenti di pietra
                                                        tracciano il sentiero.


Queste note si concludono con la lettura della poesia “Carla e Roberta”  dell’ultima sezione intitolata “Amore”, nel segno di un profondo senso della maternità, da cui è possibile allargare lo sguardo su un orizzonte più vasto
                                                                           Vanna Corvese