I
quattro tremori del giardino è un libro complesso, intenso, un libro che segna
una fine e un inizio. E’ una storia intera, ma non la storia dei fatti, degli
eventi. E’ la storia del sentire interiore. In questo libro c’è il bambino,
l’uomo e il vecchio. C’è quello che non
si vede, o comunque c’è la visione vera di un apparire diverso. Il titolo crea
un collegamento immediato con Gitanjali,
Il Giardiniere di Rabindranat Tagore.
E sicuramente questi due libri sono fratelli, diversissimi, ma fratelli.
Tagore ci parla del giardiniere in una metafora che rappresenta l’uomo che coltiva
il giardino della sua anima e della sua vita. Portante ci parla dei suoi
giardini, del loro tremore, delle macerie che li hanno sconvolti.
Però,
non possiamo parlare di I quattro tremori
del giardino senza prima accennare alla sua origine, alle radici che hanno
fatto germogliare questo libro. E’ necessario ricordare che l’autore è figlio
di immigrati italiani, abruzzesi dell’Aquila, per la precisione di San
Demetrio. Qui in questo luogo ci sono le sue origini, da qui parte il suo
essere, il suo sentire. Jean ha anche vissuto da bambino alcuni anni a San
Demetrio, tornando successivamente con la famiglia in Lussemburgo dove ha
continuato a parlare l’Italiano con la madre, in una società però dove le
lingue si sovrappongono: il francese, il tedesco e il lussemburghese.
Dopo
il terremoto del 6 aprile 2009 dell’Aquila, Jean scrive Après le tremblement dal quale è tratto il Quattro tremori del giardino. In questo
libro Jean ci parla del terremoto e delle sue conseguenze. Jean ci dice: il
terremoto ha distrutto il mio paesaggio interiore.
Esso,
il libro, anzi consentitemi il “lui” perché lo voglio trattare come una persona,
con una vita e un respiro, è dunque la storia di un’anima, il suo travaglio, il
suo viaggio nel mondo, dal sud al nord, il sud dentro al nord. E’ un libro che si apre al cambiamento, che,
come l’araba fenice risorge dalle macerie.
Il
libro è diviso in 4 sezioni, molto diverse tra loro sia nel contenuto che nello
stile.
La
prima sezione prevale l’anafora che qui diventa quasi un mantra. Tutti i testi
poetici iniziano con a volte. Mi sono
chiesta perché proprio a volte, cosa stia
a significare. Non è sempre, non è mai, è a volte. A volte
è dunque una sorta di precarietà, c’è e non c’è, è un bilico. E’ lo stato
d’animo, il sentire dell’autore che si è sempre sentito un viaggiatore, un migrante.
E’ la sua terra, la sua origine, le sue radice che sono solo a volte, la sua stessa esistenza. E’ dunque questo un libro che apre agli
interrogativi e come tale ci porta a scavare dentro noi stessi e dentro alla
storia dell’umanità.
La
seconda sezione (tutte le sezioni sono semplicemente numerate, senza titolo) si
allontana solo leggermente dall’anafora. Magrelli,nella prefazione, parla di
variazione para-anaforica. E’ il verbo vedere che si ripete in tutti i primi
versi, ma anche qui ritorna all’interno del testo la locuzione a volte e spesso l’avverbio forse, così come molti i verbi al
condizionale. Continua dunque il senso di bilico. Qui siamo di fronte a una
poesia quasi surreale, onirica.
La
terza sezione è composta, invece, secondo la metrica dei tanka giapponesi (5
versi di 5, 7, 5, / 7, 7 morae o per semplificare sillabe – morae, per la
precisione, è un’unità fonetica che rappresenta un singolo suono). Attraverso
lo stile poetico Jean Portante crea un collegamento con il Giappone devastato
pochi anni prima da un immane terremoto. Una dedica dunque, un sentirsi vicini
nella lontananza.
E’ questa
una sezione di ricordi attraverso un viaggio spazio-temporale nella casa
materna, dove sono presenti fortissime metafore.
La
quarta sezione non abbandona il richiamo costante a una specifica parola che
qui è all’avverbio ancora. Siamo passati, perciò, dalla prima sezione
con a volte che indica la precarietà,
il bilico ad ancora che invece
rappresenta la persistenza, passando per due sezioni dove predomina il senso
della memoria o forse la ricostruzione di essa. Credo che l’autore voglia mettere
tutti noi davanti a una realtà indiscutibile: la ricerca costante e inevitabile
della ricerca delle proprie intime radici come aspirazione necessaria di ogni
uomo per comprendere il cammino della propria esistenza.
Cinzia Marulli
da I quattro tremori del giardino di Jean
Portante (Ed. La Vita Felice 2016)
traduzione
in italiano di Camilla Diez e Francesco Fava.
Parfois
quand l’horizon semble se rapprocher
sans
que la ligne qui lui doit la vie ne se rétracte
mon œil qui embrasse tout cela
ligne
de vie horizon absence de rétractation
fait
un bond vers l’intérieur et le rêve
qui
ainsi est libéré
prend
la forme d’un oiseau
allant
se percher sur la corde à linge de notre jardin.
C’est
là que pourvu que le vent ne fût pas trop fort
les
draps pendaient jadis comme des morceaux d’aubes
parfois
c’étaient des aubes entières qui y pendaient
et
la corde était l’horizon
sans
que la ligne qui lui donnait vie ne se rétracte.
A
volte quando l’orizzonte sembra avvicinarsi
senza che si ritragga la linea che
gli deve la vita
il mio occhio che abbraccia tutto questo
linea
della vita orizzonte assenza di ritrattazione
fa un balzo verso dentro e il
sogno
che
in quel modo è liberato
prende
la forma di un uccello
e va
ad appollaiarsi sul filo del bucato del nostro giardino.
È
lì che a patto che il vento non fosse troppo forte
le
lenzuola pendevano un tempo come pezzi di albe
a volte erano albe intere che pendevano
e il
filo era l’orizzonte
senza
che si ritraesse la linea che gli dava vita.
*
Parfois
mais je n’en suis pas sûr
le
jardin dont je parle prenait le chemin le plus court
pour parvenir aux secrets qu’il ne savait pas
taire.
Il
arborait alors une soumission particulière
avant d’empoigner une pelle
et
de la planter dans le sol.
Et
quand il se mettait à retourner terre et ciel
et
que les nuages comme des mottes désarmées
étaient ensevelies par tant d’ardeur
ou
qu’au-dessus de tout cela volait un corbeau
qui en savait plus long que moi
je
me disais parfois mais je n’en suis pas sûr
que
tout ce dont je pourrais me souvenir est régi
par
le mystère de l’ensevelissement.
Sous
la terre retournée les mottes de nuages
renouent avec une ancienne coutume qui remonte
à
des temps où quand il fallait pleurer
les
larmes prenaient le chemin le plus court
quand
une pelle les retournait
et
qu’elles se mélangeaient à la terre ennuagée.
A
volte ma non ne sono sicuro
il
giardino di cui parlo prendeva la via più breve
per
arrivare ai segreti che non sapeva tacere.
Inalberava
allora una sottomissione particolare
prima
d’impugnare una pala
e di
piantarla nel suolo.
E
quando si metteva a rivoltare terra e cielo
e le
nuvole come zolle disarmate
erano
seppellite da tutto quell’ardore
o in
alto sorvolava un corvo
che
la sapeva più lunga di me
io
mi dicevo a volte ma non ne sono sicuro
che
tutto quel che potrei ricordarmi è retto
dal
mistero del seppellimento.
Sotto
la terra rivoltata le zolle di nuvole
riannodano
un’antica usanza che risale
ai
tempi in cui se si doveva piangere
le
lacrime prendevano la via più breve
quando
una pala le rivoltava
e si
mescolavano alla terra rannuvolata.
*
Ce
qu’on voyait quand le brouillard se levait
c’était
le soc qui labourait les âmes
dans
un champ jadis fertile.
On
aurait dit qu’un soleil se réveillait
tant
les semeurs avaient les mains pleines.
Peut-être
que si aujourd’hui on y regardait de plus près
on
verrait les ombres des semences
tomber
dans les sillons.
Peut-être
qu’aujourd’hui ce qui se réveillerait
prendrait
la forme de la mort.
Peut-être
qu’un signe de mort se réveille aujourd’hui.
Quello
che si vedeva all’alzarsi della nebbia
era
il vomere che arava le anime
in
un campo un tempo fertile.
Avresti
detto che era un sole a risvegliarsi
da
quanto erano piene le mani dei seminatori.
Forse
oggi a guardarle un po’ più da vicino
si
vedrebbero le ombre dei semi
cadere
dentro i solchi.
Forse
oggi quel che si risveglierebbe
prenderebbe
la forma della morte.
Forse
è un segno di morte che si risveglia oggi.
_________
Jean Portante è nato nel 1950 a Differdange, città mineraria
del Granducato di Lussemburgo, figlio di emigranti italiani.
La sua infanzia, raccontata nel suo romanzo Mrs Haroy ou la
mémoire de la baleine, è stata segnata da una doppia appartenenza, o piuttosto
una non appartenenza poiché si è spesso sentito, come ogni emigrante, figlio
della terra di nessuno.
Jean Portante comincia a scrivere a 33 anni. Prima ha
studiato in Francia, a Nancy, dov'è stato protagonista delle manifestazioni del
maggio '68 e professore di francese.
Nel 1983, quando scrive la sua prima raccolta di poesie Feu
et boue (fe e bu – fuoco e fango) si trasferisce a Parigi. Lunghi soggiorni in
America latina gli hanno consentito di familiarizzare con la lingua spagnola e,
parallelamente al suo lavoro di scrittore, vanta un'attività ventennale di
traduttore (di Juan Gelman, di Gonzalo Rojas e di decine di voci poetiche di
lingua spagnola, tedesca, inglese e lussemburghese). Anche i suoi libri sono
tradotti diffusamente.
Attualmente dirige a Lussemburgo la collezione Graphiti
(poesie) di edizioni PHI e collabora al settimanale Il giovedì. In Francia è
membro dell'Accademia Mallarmè e membro della giuria del Premio
Guillaume-Apollinaire.
Nel 2003 ha ricevuto il Premio d'Autunno della Società dei
Letterati, per l'insieme delle sue opere, oltre che il premio Mallarmè.
Precedentemente il suo romanzo Mrs Haroy ou la mémoire de la
baleine gli era valso il premio Servais (miglior libro dell'anno).
A Lussemburgo ha fondato la rivista letteraria TRANSKRIT,
consacrata alla traduzione della letteratura contemporanea. In Francia fonda,
con Jacques Darras e Jean-Yves Reuzeau, la rivista INTIUTS DANS LA JUNGLE, il
cui il primo numero appare nel giugno 2008.
In Italia sono state pubblicate tradotte le seguente opere:
Il romanzo Mrs Haroy e la memoria della balena tradotto e curato da Maria Luisa Caldognetto
– Empiria 2006
Il libro di poesie La cenere delle parole curato da Maria
Luisa Caldognetto e con prefazione di Elio Pecora – Empiria 2011
Il libro di poesie Voglio dire con nota critica di Gabriela
Fantato e traduzione di Elio Pecora – La Vita Felice 2012
Il libro di poesie I quattro tremori del giardino – tradotto
da Camilla Diez e Francesco Fava e con prefazione di Valerio Magrelli – Ed La
vita Felice 2016
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