Il monologo di Beatrice Cenci scritto con incredibile intensità da Anita Napolitano non vuole essere l’ennesima rappresentazione storica di un mito che dura ormai da oltre trecento anni , non ha il solo intento di rievocare una storia vera, triste e tragica legata al nostro passato e alla nostra storia. E’ invece una denuncia odierna ed attualissima della sin troppo diffusa violenza che da sempre, e ancora oggi, si può nascondere dietro le apparenze perbeniste delle mura domestiche.
Non c’è tempo dunque in questa storia. C’è invece un’analisi raffinata e spietata della società e della natura umana. Perché la violenza perpetrata all’interno della “casa” è quanto di più subdolo e pericoloso possa esserci : mina le basi stesse dell’esistenza, capovolge l’orientamento, annienta l’”io”;
Lo sguardo però, si estende anche al di fuori, oltre le mura domestiche, che possono celare, è vero, ma fino ad un certo punto. Perché i segnali verso l’esterno debbono pur esserci, ma non sono percepiti: la società, “l’altro” è troppo cieco per vedere e se anche vede, a volte, aimè, diventa quasi compiacente perché preso dal gusto perverso del “male”.
La condanna del perbenismo borghese e dell’ipocrisia ecclesiastica è fortissima in questo testo: “... nel mondo cristiano non importa che un padre faccia una vita dissoluta, o che usi violenza contro i propri congiunti, o vada a bordelli e sgualdrinelle, è importante per il Papa dare una pena esemplare a chi è accusato di parricidio.” Poche parole messe in bocca a Beatrice Cenci, poche ma dirette e chiarissime parole per esprimere tutto l’esprimibile, per condannare senza ricorrere ad artifizi, ma con la semplice e ovvia esposizione dei fatti.
In questo monologo è l’autrice stessa ad alzare il coltello verso il padre, è la rabbia di Anita-Beatrice verso tutto il brutto della natura umana, verso la sopraffazione dei più deboli, verso gli innocenti. Ed è Anita-Beatrice che proprio in apertura ci espone , ci rivela la perdita maggiore che porta l’oscurità dell’animo umano: “no, no, il mio desiderio più grande era quello di sposarmi, quello di avere dei figli e di educarli...”; l’importanza delle cose semplici e belle della vita, a volte troppo erroneamente date per scontate e che, invece, per molti sono conquiste quotidiane.
Anita-Beatrice lo dice con chiarezza: il male è in ognuno di noi, ma sta ad ognuno di noi scegliere il bene. E’ questo secondo me il messaggio più importante che l’autrice ci trasmette; perché tutto il monologo è sì una denuncia, ma anche e soprattutto una lezione sulla capacità di scelta che ha ogni essere umano. La capacità di scegliere tra il bene, che porta all’amore e alla felicità, e il male che ha come conseguenza inevitabile il dolore.
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