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venerdì 26 agosto 2011

Maurizio Soldini su Agave di Cinzia Marulli Ramadori


Pubblicata su LaRecherche

 “… ora son io/ l'agave che s'abbarbica al crepaccio/ dello scoglio/ e sfugge al mare da le braccia d'alghe/ che spalanca ampie gole e abbranca rocce;/ e nel fermento/ d'ogni essenza, coi miei racchiusi bocci/ che non sanno più esplodere oggi sento/ la mia immobilità come un tormento” sono i versi di L’agave sullo scoglio di Eugenio Montale, a cui rimanda direttamente la cifra del significato della raccolta poetica (la prima) di Cinzia Marulli Ramadori. Nella metafora tutta verdicante della silloge e della vita – Vita Tra tanto cemento/ un filo d’erba - e a iniziare dal titolo c’è il simbolo della fortezza che nello stesso tempo è debolezza della natura rappresentata dall’agave e nello stesso tempo dell’essere umano e dell’esserci: vita, morte, gioia, dolore, incespicamento, ma soprattutto resistenza a non cadere nel crepaccio e mettercela tutta a credere in quell’essere che non muore mai ma che solo si trasforma in un altro essere. Il tutto nell’immobilità di un essere che si misura costantemente col baratro del nulla abbarbicandosi alla roccia per dare comunque vita, al fiore, e poi finire, soddisfatto e felice del fine raggiunto: Figlio/ io sono Agave/ nel suo fiore/ svetta/ il mio amore. La silloge è un inno alla vita attraverso l’amore. L’amore ricevuto ma soprattutto quello donato. Il dettato della Marulli ha soprattutto uno scopo, che è quello della significazione, perché attraverso la densità della sostanza vuole ancora continuare a donare, a dare amore, a trasmettere e a comunicare un forte sentimento, che spesso tralascia il significante, nel senso che si cura di più del messaggio che non del messaggero e vuole che questo messaggio arrivi, diretto. Il figlio, soprattutto il figlio, generato come il fiore dall’agave, il marito – Tu sei acqua/ amore mio/ nella quale leggera/ io nuoto -, il padre che ha lasciato “questo vuoto/ che scava baratri nel mio cuore”, la madre – i tuoi occhi mi hanno inseguita/ in essi solitudine/ cantava a squarciagola – che in un letto d’ospedale rende speculare la metafora dell’agave, non detta ma presagita, che mette angoscia, l’angoscia di vedere, lei ora fiore, la madre sfumare nella metamorfosi finale e allontanarsi con occhi che inseguono con lo spauracchio dell’assenza che in-voca cantando ossimoricamente solitudine. Poesia che contempla valori. I valori soprattutto della famiglia. Ma la famiglia si allarga alle persone vicine, alle amiche e agli amici, ai poeti con i quali c’è condivisione di esperienza e di vita. Ma l’orizzonte si allarga verso altri, lontani ma comunque vicini. Come nel caso del componimento finale dedicato alla sofferenza di una madre e al dolore in-vissuto cognitivamente e forse affettivamente, ma tutto avvolto nella musica, di Roberta, una ragazza schizofrenica. O come nel caso dei versi di Si straziano i silenzi in cui la voce si leva civilmente alta in ricordo di Peppino Impastato e di tutti coloro che come lui, e il pensiero non può anche qui non correre alle madri, hanno cercato di ribellarsi al male con l’urlo di rivolta a far chiarezza della vita e dell’amore e sono finiti nel sangue: moderna Pietà dei giorni nostri. E anche qui, nei due ultimi casi richiamati, emerge uno dei fili rossi del libro che è inquadrabile nella contemporaneità della poesia femminile che canta i suoi topoi, come quello della maternità, che la Marulli ben sa dipanare con originalità innovando nella tradizione un luogo, che rischia di diventare religiosamente retorico, ma che invece la nostra poetessa sa rendere molto bene con laica pacatezza e senso del sacro. Poesia lirica questa della Marulli, elegiaca, ma assolutamente non solipsistica, per quanto la frammentarietà del dettato sia affidata a squarci impressionistici, che descrivono come bozzetti di vita la quotidianità sedimentata nel pensiero. Pensiero. Parola che ricorre sovente nei versi della raccolta. Perché in fondo nella poesia di Cinzia Marulli c’è soprattutto anima e poco corpo. Difatti non c’è circostanziazione, non c’è toponomastica, non c’è, almeno sembra, il tempo, così come latita lo spazio. Ci sono solo i tempi e gli spazi dell’anima. Cartesiano il dettato. Aereo, pneumatico, leggero. Una leggerezza che non si affida, come dicevo, al significante, ma mira soprattutto al significato. Ed è questo il pregio della poesia della Marulli, in un momento come il nostro, nel quale la poesia, come è stato detto, mira più all’aggettivazione che non alla sostantificazione. Anche se va detto che nelle prossime prove ci aspettiamo dalla nostra poetessa un maggior lavorio sulla parola, affinchè i pensieri, che crescono nella mente come coriandoli di idee, escano dall’ipostatizzazione e si incarnino sulla parola stessa, dando la possibilità non solo di vedere, ma di toccare con mano le passioni dell’anima, di cui ella è abile artefice nella loro rappresentazione.

domenica 7 agosto 2011

L'amicizia: Anna Giordano scrive a Cinzia Marulli su Agave

Riporto di seguito l'e-mail che Anna Giordano mi ha inviato oggi e colgo l'occasione per ringraziarla pubblicamente per le sue parole così sentite e sincere che mi hanno emozionato profondamente-
                                                                                                     Cinzia Marulli




 Oggetto: Agave 
 Da: annagrdn@hotmail.com 
A: "Cinzia Marulli"<marullicinzia@libero.it>
Data: 06/08/2011 22:18 

Mia cara Cinzia,

sono qua davanti alle tue poesie. Oggi mi è giunto il tuo libro “AGAVE”, non immagini l’emozione che ha provocato in me averlo fra le mani…
l’ho aperto ed ho letto le tue poesie e, come avvenne qualche tempo fa, ricordi? Mi sono emozionata a tal punto da piangere di gioia per la bellezza dei sentimenti che esprimi nella semplicità dei tuoi versi, nettare puro dell’anima che li ha generati.
Ho come l’impressione d’essere presa per mano dalle tue emozioni e invitata ad entrare nel giardino della tua anima, ho condiviso l’essenza che questo fiore particolare emana, e che inebria lo spirito.
Ho pianto perché ci sei riuscita, la gioia è grande, sono contentissima che tu abbia realizzato il tuo piccolo grande sogno.
Il tuo libro è bellissimo, curato nei particolari… ricordo, quando insieme, mi hai fatto parte delle tue idee
mentre mi indicavi il quadro sulla parete di casa tua domandandomi cosa ne pensassi, se sarebbe stato adatto per la copertina…
Leggemmo insieme i versi delle tue delicate poesie e l’emozione fu grande per me nello scoprire la loro bellezza.
Cinzia cara, ti auguro di raccogliere da questo fiore il frutto da te coltivato con tanto amore, meriti il meglio poiché sei una persona speciale e profondamente sensibile e dolce come lo sono le tue poesie nelle quali ti ritrovo.
Ti abbraccio forte e sono fiera di esserti amica.
Con affetto.
Anna

giovedì 4 agosto 2011

Gian Piero Stefanoni: “In un tuffo mi rotondo”, per "Agave” di Cinzia Marulli Ramadori

Nel futuro ci sarà di sicuro/ la chiarezza della vita e dell’amore”.


pubblicata su Literaty

Il percorso di lettura di questo libro è partito curiosamente per me dapprima dalla conoscenza diretta dell’autrice, con la quale ho avuto la fortuna di condividere nell’ultimo anno esperienze poetiche importanti (dall’omaggio a Manzù di “S’impalpiti materia” al reading di “Ammaro amore” alla Garbatella) ma della cui scrittura- lo confesso- sapevo ben poco. Ciò che con amore e presenza è trasmesso tanto naturalmente dalla Marulli nella vita, in quella treccia di luce con cui avvolge e a tratti incorona di prossimità chi le è vicino, ritrovo qui intatto e limpido nella cura del mondo che verso dopo verso fiorisce con tanta intensità nel testo.  Ciò, oltre a spiegare la grazia di una figura che reputa e dilata nell’incontro il proprio vortice , dimostra ancora una volta come nell’interrogazione della lingua poetica sia iscritta quella possibilità -che già in sé è anima- in cui l’umano, nella sua restituzione, facendosi ritmo si compie.  Ed allora davvero il fiorire, come dicevamo, è nell’offerta il dono a cui l’autrice ci chiama, consapevole per intelligenza e vicenda personale che vero ingemmare è capacità di respiro che sorge anche dal rischio, frutto ribelle che pure nell’ oscurità cerca varco in tensione di vita. Nell’ agave del titolo si incarna questa lotta, nella traccia paziente di sé con cui finalmente dalla radice esce e si apre alla terra. L’agave, nella cui fioritura si cela la morte della pianta da cui nasce, è la sapiente metafora con cui la Marulli si racconta e si consegna alla vita, in un sigillo quasi evangelico di richiami e risonanze che dell’uno dice il molteplice nel sangue da cui rinasce.  Così già dai titoli si fa dinamica questo sì deciso che coinvolge il lettore in un processo di luce. “Radice”, “Fiore”, “Amnios”, “Aere” e “Amore”, le sezioni. “Ventre”, “Grembo”, “Maternità”, “Vita”, “Luce”, ed ancora “Acqua”, “Marea, “Deserto”, alcuni dei titoli.  Dalla radice al fiore che nell’aria e all’acqua si espande libero, la forma e la sostanza di una femminilità celebrata nella peculiarità dei suoi petali, colori di un universo che raccogliendoci qui si contempla. “La forza compare sotto il manto di luce/ fierezza di donna fierezza di pace/ che stringe e protegge che nulla sconfigge/l’amore più grande che tutt perdona” (“Nel grembo”). Perché è un racconto di tante donne questo canto in cui si leva per ognuna il ringraziamento. Dalla madre (osservata e sofferta nella malattia che la dissecca), alla preziosità delle amiche, alla piccola dolce Roberta, figure, tra le tante, da cui quotidianamente riparte ogni volta il mondo e nella cui ancestralità di nominazione  si racchiude il motivo del nostro stesso mistero: dalla nascita dar nascita. La maternità di cui ci parla, e che ha qui nel disegno del figlio la centralità del dettato, è di fatto anche una maternità di spirito in cui concretamente, nella saldezza che sa d’ogni maturità la fatica e la veglia, l’uomo stesso può trovare nuovi paradigmi di forza per quella vigilanza d’ascolto e per quel trasporto del peso, nel mondo, che è la raccomandazione e la direttrice verso cui ci spinge questa poetessa- tanto fiera e tanto umile nel suo contrapporsi tra l’altro dove può perdersi il seppur minimo eco di coscienza civile.
In conclusione, a questa maternità (che è poi anche l’humus d’ogni vera  poesia) Cinzia nell’approdo ci affida, in attesa e nell’augurio di ritrovarci  insieme nel grembo. Definitivamente e senza più spine nel nostro elemento accordati.      

La poesia ha radice nell'anima: Michela Zanarella su Agave di Cinzia Marulli (LietoColle 2011)

La poesia ha radice nell’anima. “Crescesti come pianta/rampicante/avvinghiandoti alla vita. Nel fiore esprimesti/il tuo sentire.” Questi sono solo alcuni versi estratti dalla raccolta di Cinzia Marulli “Agave”, ed. Lieto Colle, che dimostrano la sensibilità poetica dell’autrice.
L'Agave è una pianta meravigliosa e imponente che ha la particolarità di fiorire una sola volta in tutta la sua vita per poi morire. Nell'ottocento l'Agave rappresentava il sentimento della sicurezza e della stabilità, probabilmente legato al fatto che questa pianta, data la sua maestosità, non fa immaginare la morte o la distruzione.
La figura di Cinzia Marulli è strettamente legata all’immagine dell’Agave, a quell’unicità nel fiorire ed essere Vita: “Figlio/io sono Agave/nel suo fiore/svetta/il mio amore.” Lo stesso Eugenio Montale nella poesia “L’Agave sullo scoglio” paragona il suo esistere (passaggio sulla terra) a questa pianta grassa, tipica dei terreni rocciosi e aridi. Il poeta cerca quindi di superare le situazioni avverse dell’esperienza umana, come il fiore della pianta che fatica a fiorire, ma vorrebbe esplodere. Cinzia Marulli formula una originale testimonianza di quotidiane emozioni, ci rivela la sua storia di donna, figlia e madre, manifestando tutto l’amore che pulsa nel suo intimo e femminile sentire. “Io anche fui figlia/di catene avvinta/e/di te/ora/figlio/sono madre”. Anche la scrittrice Nella Cusumano Lombardo nella sua opera “L’Agave fiorita” riflette sul legame di questa pianta con il suo cammino esistenziale, ripercorrendo istanti ed affetti familiari che hanno segnato il suo modo di essere e la sua vita.
L’opera di Cinzia Marulli si trasforma in necessità di andare oltre la parola, si fa urgenza di sensazioni e sentimenti per deviare ed allontanare il dolore. I versi “esplodono” come quel fiore che richiama insistente la bellezza del nascere ed il repentino dissolversi nel nulla. Si alternano luci ed ombre, impennate di vita e di sofferenza , che assegnano alla scrittura una funzione di sfogo e confessione. La poetessa affronta le complicazioni di una vita fatta di “labirinti di paura” e “strascicati versi” affidando la sua fragile voce ad una linfa espressiva che è amore e speranza universale. “Agave” è da considerarsi un volume “ di verità e di luce” che, per l’intimità dei testi e per l’intensità del linguaggio, contiene interessanti contributi di sincera ed umana ispirazione.
Nella poesia di Cinzia Marulli “Il cuore si spalanca/ed abbraccia la vita”.

Michela Zanarella per www.apostrofando.it

lunedì 1 agosto 2011

Cinzia Marulli Ramadori: L’emozione del verso (leggendo “Intrecci di Rime” di Davide Benincasa (Edizioni Occhi di Argo)

Nei vari incontri poetici ai quali ho avuto il piacere di partecipare spesso si discute intorno ad una domanda assillante: “come si fa a riconoscere un verso?”
Infatti il modernismo, lo sperimentalismo, le avanguardie e anche il post-modernismo hanno praticamente abolito (o forse anche condannato) l’uso della metrica classica cadendo così in una sorta di anarchia del verso che ha visto, tra l’altro, l’improvvisarsi di presunti poeti che avevano, in realtà, come unica capacità, quella di “saper andare a capo” dopo tre o quattro parole, credendo in tal modo di dare sfogo alla propria vena creativa esprimendosi poeticamente.
Ma il verso libero non è affatto così semplice e non presuppone la mancanza di conoscenza del passato e quindi anche della metrica. Anzi il verso libero nasce da essa e da essa si evolve.
Nella Cina antica l’artista, il pittore prima di avviarsi verso un percorso autonomo e personale trascorreva anni a copiare i grandi maestri del passato non solo per imparare la tecnica ma anche perchè era credenza che in tal modo lo spirito del maestro avrebbe rivissuto nell’allievo. C’è forse una cosa più vera di questa? Quando noi leggiamo e rileggiamo le poesie dei grandi maestri del passato essi in realtà non tornano a rivivere in noi?
Jorge Luis Borges nelle sue lezioni americane tenute alla Columbia University affermò  che inserire anche inconsciamente in una propria poesia un verso o parte di un verso di una poesia famosa non è copiare, ma è far rivivere quel grande poeta che è entrato così tanto dentro di noi da sentirlo totalmente nostro.
Non un caso, dunque, che ultimamente mi capita di incontrare poesia contemporanea profondamente inserita nella nostra migliore tradizione metrica. Cito ad esempio Salvatore Martino con la sua raccolta “Nella prigione azzurra del sonetto” (LietoColle 2009) con la quale e tramite la quale afferma a voce alta la necessità di tornare ad una costruzione poetica organica e strutturata secondo, appunto, le regole del sonetto inserendosi però non in un contesto banalmente tradizionalista, ma evidenziando invece la modernità di tale scrittura poetica. Anche Giorgio Linguaglossa nella sua opera critica “la nuova poesia modernista” (Edilet 2010 – pag 72)   definisce Martino come un poeta “modernamente lirico”.   
E’ ovvio, va da sè, che le regole, ovvero la tecnica deve necessariamente essere unita alla sostanza in un connubio che, unico, crea “poesia” e Martino è di sicuro un esempio splendido di ciò.
Potrei citare molti altri poeti odierni che sentono nuovamente il desiderio (o forse la necessità) di abbracciare la tradizione; e in tale contesto s’inserisce protagonista Davide Benincasa con la sua raccolta “Intrecci di Rime” (Occhi di Argo Edizioni). Profonda, finissima è la conoscenza della metrica  che porta il Benincasa ad affrontare un percorso addirittura sperimentale attraverso di essa esaltando una ritmica ricercatissima e sonora tanto da sentire il bisogno di inserire a pre-testo un indice delle poesie con una chiarissima specificazione del verso e della rima usate.
E’ dunque indiscusso il forte richiamo che la poesia di Davide Benincasa ha nei confronti dei grandi maestri del passato e nei suoi versi tutti loro rivivono più contemporanei e moderni che mai.
Ma di certo non possiamo fermare il discorso poetico alla sola questione formale perchè molta sostanza è espressa in quei novenari, i quegli endecasillabi  e perfino nei senari di Davide Benincasa.
Il libro, “Intrecci di rime” si apre con una poesia dal suono dolcissimo e mesto, “Sussurri del cuore: è un vero canto dell’animo umano, un dialogo intimo e profondo che esalta il sentimento. Il poeta ci dice che è nel profondo sentire la vera essenza della vita capace addirittura di sconfiggere il tempo ...Cullano lievi nel vento del tempo/volan lontano attraverso le ore,/e ad altri affidano i loro segreti./...
Siamo dunque di fronte ad una poesia di grande interiorità nella quale si evidenzia il viaggio dell’uomo alla ricerca di valori eterni.
Forte è anche il senso del dolore, compagno immancabile dell’essere umano, come leggiamo nella poesia “Pagine di un diario sfiorito”: Assorto, il mio sguardo rivolgo al mare,/mentre sorgivo, un alito di vento,/ribelle danza e allevia il mio tormento,/corollario di ampie pagine amare./...  Tuttavia tale tormento è sempre accompagnato da uno sguardo rivolto al bene e al futuro: ... Affannato, osservo le acque più chiare,/gettando avanti lo sguardo...
La poesia “Sogno di una fuga dal Mondo” è una poesia di grande rilevanza: ci richiama alla mente “il male di vivere” di Montale (pensiamo ad esempio alla poesia “L’Agave sulla scoglio” nella raccolta “Ossi di Seppia”). Benincasa infatti non può fare a meno di scrivere: ...calca di gente che inconscia s’ammassa/nell’ipocrisia di una vita sorda;/sbiadita e piatta essa ci annulla e passa./...
Poche incisive parole che mettono in evidenza una visione pessimistica non solo della realtà ma anche della società, e che danno origine nel verso seguente ad un sospirato desiderio di evasione (Vago, solingo, in un altro universo/), ad un anelito di infinito creando così un chiaro e delicato collegamento con il nostro Leopardi. Infatti attraverso la presa di coscienza dei limiti dell’esistenza (il colle e la siepe leopardiane) avviene il viaggio nel proprio io, nella propria immaginazione, nel proprio pensiero ove per poco il cor non si spaura e nasce anche in Benincasa il desiderio d’infinito: ...Navigo libero solcando i cieli,/ volo attraverso distese d’oceani...
Tuttavia in Davide c’è un ritorno alla realtà amara, alla routine: l’impossibilità dell’uomo di fuggire davvero e la pacata accettazione di un’evasione onirica quale unica salvezza sia pur temporanea; ma si evidenzia anche il ruolo importantissimo della poesia che diviene per il poeta stesso mezzo di evasione.
Seguono poi quattro poesie dedicate alle stagioni: “Primavera”, “Estate” “Autunno” e “Inverno”: sono pennellate di luce, di colore, di sentimento. In esse si evidenzia una natura benigna intesa come rifugio dell’anima, riparo estatico al dolore cosmico, c’è l’anelito al ritorno ad una vita semplice, rupestre, che riporti l’uomo ad un maggiore e più sentito rapporto con la natura. Essa diviene anche compagna nel ricordo di un passato sereno, di una infanzia felice che precede la scoperta dell’amarezza del mondo.
Estremamente interessante è anche la lirica “Cantico antico d’Amore e d’Offesa” nella quale torna a farsi sentire la visione pessimistica del poeta simboleggiata da una vicenda forse realmente vissuta e nella quale troviamo un abile passaggio dalla narrazione epico-storica a quella contemporaneo-contestuale.
Un’unica poesia è dedicata al mare: “Assonanze marittime”, pochi versi che racchiudono però tutto il discorso poetico fatto fin ora. Capolavoro di sintesi e di musicalità che entrano profondamente nell’animo.
Molto altro si potrebbe dire intorno alla poesia di Davide Benincasa, sia da un punto di vista contenutistico che formale: il saper affrontare tutti gli argomenti che abbracciano il senso dell’umano, l’uso oculato e sapiente  dell'enjambement, l’incisività semantica degli ossimori, la ricerca puntuale della parola. Insomma siamo di fronte ad un poeta completo che ci ha donato un piccolo gioiello, un Intreccio di Rime prezioso e intenso del quale noi tutti dobbiamo fare tesoro.

                                                                                                                Cinzia Marulli Ramadori