Il mio ringraziamento speciale a Jean Portante per la prefazione intensa e sensibilissima.
Percosi sul sito della Casa Editrice La Vita Felice
La prefazione di Jean Portante
Cinzia Marulli o la sfericità dell’essere
C’è
leggerezza nelle poesie di Cinzia Marulli, non quella delle parole, ma del
vento, delle nuvole, della nebbia. Ciò
apre il cammino alla chiarezza. Al
biancore. Sgretola l’oscurità, la
rinchiude nell’ombra. Invita al viaggio.
Ci mette in cammino sul sentiero.
E riabilita, non la strada percorsa, ma, dopo di essa, il ritorno. Mi viene da pensare al poeta Piere Joris
quando scrive “se ritorni, riporta il cammino con te”. Questo è un libro del
ritorno, dunque, del ritorno eterno, Ma verso dove? Verso che cosa? Verso chi?
La
poesia, secondo definizione, quasi, pone delle domande. E, soprattutto, è
circolare. Su qualsiasi punto della sua circonferenza, essa è unita a un centro
che non abbandona mai, poiché dimenticarlo sarebbe come dimenticare se stessa,
divenire sciame di parole nell’eclissi delle nuvole. Queste poesie, questi
“Percorsi” sono come aquiloni. Volano, si avvicinano alle nuvole, ma nessuna
mano le abbandona. Ed è così, la mano del poeta, distribuisce i fili dal centro
dell’esistenza. Il labirinto è lì, ma Icaro è lontano. Il poeta ha appreso la
lezione della cera.
In
questo senso, “Percorsi” è il libro dei bilanci, e il ritorno è un viaggio
intimo verso il centro dell’”io”. Basta
poi affondare la zappa e smuovere la terra intorno ai piedi. Scavare. Per sotterrare il male di ciò che è
stato. Per dissotterrare i ricordi,
così, che come i petali di un fiore esistenziale assorbono la clorofilla che un
sole nascosto gli invia. Poi,
ricominciare a mettere un passo dopo l’altro per riannodarsi con il ciclo della
vita e della morte. Rinascere fiore. Con i colori del desiderio. E morire in
quei stessi colori. Morire, ultimo ritorno alla terra, alla cenere, a quelli –
il padre e gli altri – che, prima, hanno preso in prestito l’ultimo percorso.
C’è
del sacrificale in questo movimento. Ritualizzazione del ciclo. Del cerchio. La
poesia gira intorno al suo nocciolo come la vita gira intorno al sole. E,
girando, rifà il cammino che dalla radice va alla spiga e poi ritorna alla
radice. E’ così che si rispondono il
futuro e il passato. Grano dopo grano. Grano di rosario. Grano di sabbia. Poiché anche lì il cerchio domina.
Addormentarsi nel mare per risvegliarsi nella pietra. Con, al risveglio, la
domanda della chiave. Una chiave a portata di mano, ma chissà a quale serratura
è destinata? Mare, pietra. Chiave, serratura. Il cerchio. Ombra, luce. Il
cerchio. Come l’”io” uguale all’acqua che evapora, sale verso le nuvole, poi la
pioggia che scende, divenuta acqua, sulla terra.
Attenzione
però: la poesia di Cinzia Marulli non è una poesia esistenzialista, ma
esistenziale. Nel senso che, piantato nella terra, l’essere tende verso l’alto
come l’albatros di Baudelaire. Là dove
la speranza ha grandi ali. Ma sente, l’essere, al tempo stesso il bisogno di
radicamento nella terra, unica garante affinché non si perda ciò che è stato.
L’alto e il basso non si escludono. C’è
di fatto, in queste poesie, una tensione estrema, un dilaniarsi, uno strappo, sì una sofferenza tra il bisogno
d’immobilità e il desiderio di ampiezza.
Tra i piedi con i loro piccoli passi e la testa creatrice di spazio e di
lontananza.
Scrivere
è, insomma dice Cinzia Marulli, cercare il percorso. Cercare il “tra”. La poesia si fa allora messaggero
di una scienza ben particolare che chiamerei “tralogia”. La scienza del
sentiero.
E’
questo “tra”, che dà alla scrittura il suo territorio. Territorio che offre,
attraverso il setaccio dei ricordi e dei desideri, i suoi temi alla poesia: il
tempo che passa, l’evanescenza dei ricordi, con, dall’uomo all’altro, tutto
quello che la vita promette e tradisce.
Temi universali divenuti atomi dell’intimo. Ciò non impedisce il grido di dolore quando
colpisce il male che l’Uomo infligge all’umanità. Quindi il poeta è come te e
me, conclude Cinzia Marulli, egli si fa la doccia, va al bagno, fa la spesa, in
breve, egli vive. E vede fino a che
punto il cerchio della vita è torturato dalla mano umana. Con la bocca ferita costantemente da una
domanda: come tanto male è possibile nel bene?
Jean
Portante
traduzione di Jean Portante e Cinzia Marulli
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