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martedì 28 febbraio 2017
domenica 26 febbraio 2017
Il potere della purezza: Signorine in trans di Cinzia Berni e Francesca Nunzi - Compagnia teatrale MasKere
Domenica19
febbraio 2017, è andata in scena presso
il teatro Palarte di Fabrica di Roma la commedia “Signorine in trans” scritto
da Cinzia Berni e Francesca Nunzi e interpretato dalla compagnia teatrale “Maskere” con la
partecipazione degli attori Nadia Bruno, Sara Tesco, Maurizio Gualtieri e Marco
Tosi per la regia di Nadia Bruno.
Una
commedia che vale veramente la pena di andare a vedere. Bella, bella, bella. E
la sua bellezza non è data solo dalla capacità del testo e degli attori di far
divertire gli spettatori, ma soprattutto dall’encomiabile capacità di
affrontare attraverso un format leggiadro e divertente tematiche profonde e per
loro natura serie. Non intendo fare paragoni con il teatro di De Filippo, che è
stato maestro in quest’arte portando in scena opere di grandissimo spessore
umano e sociale celate dal riso e dal divertimento. Signorine in trans
ripercorre questa strada e ci riesce benissimo. Così troviamo il dolore e lo
smarrimento dal distacco verso una persona molto amata e parte fondamentale
della nostra esistenza. La morte di Ida che si era sempre occupata della
sorella minore, Ada, getta quest’ultima non solo nel dolore ma anche
nell’immensa difficoltà di affrontare la vita quotidiana. Viene dunque a
mettersi in evidenza l’importanza dell’insegnamento della resilienza di cui
tanto si parla oggi nei confronti dell’attuale sistema educativo. Già nei primi
momenti di scena, con poche e apparentemente divertenti battute si affrontano
temi come la morte, il dolore, il distacco, la resilienza, lo smarrimento.
Dietro alla battuta ripetuta costantemente da Ada durante tutta l’opera “troppe
cose, troppe cose” e che tanto ha il divertito il pubblico si celano sentimenti
forti e che appartengono alla vita di tutti noi. Ma quali sono gli ingredienti
per uscire dalla situazione di disperazione nella quale è caduta Ada? Ce lo
dice proprio la commedia che evidenzia come l’amicizia e l’amore siano le
uniche e vere ancore di salvezza per sconfiggere il buio del nostro animo. Così l’amico e vicino di casa Gianni/Maurizio
Gualtieri viene in soccorso della sprovveduta Ada dimostrando il potere
infinito dell’amicizia. Perché gli amici si riconoscono nel momento del bisogno
e Gianni è lì pronto ad aiutare la sua amica.
Queste
sono solo alcune della tematiche che rendono spessa quest’opera, ma il come
esse vengono affrontate fa di questa commedia un capolavoro: qui l’essere umano
torna a uno stato di purezza primordiale. Ada è un’adulta-bambina personificando
quel “fanciullino” che è all’interno di ognuno di noi e facendoci comprendere
come la mancanza di sovrastrutture mentali, come la purezza dell’animo, che è
sola dei bambini, è quella parte più bella e solare che esiste in noi. Tutta la commedia ci porta dunque a una
dimensione di fiaba attraverso l’inserimento di canzoni cantate mirabilmente da
Ada/Nadia Bruno fino a giungere all’apice nella scena finale dove Massimo/Marco
Tosi impersona un romanticissimo Robin Hood. E qui non svelo oltre altrimenti
rovinerei il finale ai prossimi fortunati spettatori.
Ma
ancora devo soffermarmi su un altro personaggio
della commedia: Ida, interpretato da Sara Tesco. Ida è la sorella morta che appare durante
tutta la commedia. E questa forse è la tematica più intensa di essa. Ida rappresenta
la morte, ma ossimoro di se stessa, anche l’immortalità di coloro che abbiamo
amato e che continuano a vivere in noi attraverso quell’ingrediente
fondamentale senza il quale non esisterebbe la vita: l’amore.
Insomma,
potrei parlare ancora molto di quanto mi abbia rapito questa commedia ma lascio
ora il testimonial a chi andrà a vederla. Posso solo confermare i miei
complimenti per la bravura degli attori ai quali non mi rimane che dire
semplicemente: bravi, bravi, bravi.
Cinzia Marulli
giovedì 9 febbraio 2017
Anteprima "La casa delle fate" di Cinzia Marulli
In uscita a marzo "La casa delle fate" per le Edizioni La Vita Felice, raccolta vincitrice della prima edizione del Premio di Poesia Casa Museo Alda Merini (Giuria: Vivian Lamarque, Franco Buffoni, Sergio Bozzola, Diana Battaggia, Rita Pacilio, Giovanni Nuti, Bruna Colacicco e Vincenzo Costantino).
Nota dell'autrice
Per circa due anni ho portato avanti un laboratorio di
poesia all’interno di una casa di riposo per donne anziane. Un’esperienza che
mi ha fatto conoscere da vicino la condizione della terza età, forse quella
meno privilegiata, più afflitta da problemi fisici e di malattia. Le case di
riposo sono luoghi dove esistono situazioni di solitudine se non addirittura di
abbandono da parte di figli e parenti lontani, ma anche di figli costretti a
causa degli impegni lavorativi a “ricoverare” i propri genitori non più
autosufficienti o totalmente invalidi. Sono situazioni complesse,
ingiudicabili, che evidenziano una condizione difficile che andrebbe gestita
con grande umanità. L’idea di questo laboratorio è nata spontanea dopo un breve
ricovero di mia madre presso una di queste strutture, ricovero al quale sono
dovuta ricorrere perché nessuna clinica riabilitativa pubblica aveva accettato
di curarla a seguito di una frattura gravissima. In questo luogo, che mia madre stessa chiamò la
casa delle fate, ho potuto offrirle una riabilitazione che l’ha portata a
camminare di nuovo, piccoli passetti, ma dall’enorme significato per una
persona che si ritrova a vivere con un corpo morto e alla quale sono preclusi i
più piccoli e umili gesti della quotidianità. Pur essendo un luogo estraneo era
comunque una struttura buona perché consentiva alle famiglie di rimanere
accanto ai propri anziani, di collaborare fattivamente nella gestione e di
rimanere anche a dormire insieme a loro. Durante le mie visite ho iniziato,
quasi per gioco, a leggere alle signore ospiti delle poesie. Si è aperto un
mondo. La loro risposta è stata eccezionale. Mi attendevano ogni giorno pronte
ad ascoltare i testi che avevo preparato per loro per poi lasciarsi andare ai
ricordi, alle chiacchiere e perfino alle risate. Il risultato nel tempo è che tutte avevano
trovato un nuovo stimolo alla vita, si sentivano partecipi e attive di qualcosa
che potevano fare nonostante la loro condizione fisica. Ovviamente il livello
culturale era molto vario, ma non c’era una competizione di bravura e di
conoscenza. La poesia le aveva rese nuovamente vive e loro erano felici.
Ho continuato questo laboratorio anche dopo la morte di mia
madre, che sopraggiunse a causa dei suoi problemi cardiaci, e sono stata
costretta a terminarlo perché la struttura chiuse non avendo ricevuto più i
finanziamenti necessari. Fu una cosa molto triste. Era un luogo che funzionava.
Era la casa delle fate.
Ho scritto questa raccolta per ricordare, perché penso che
occuparsi dei nostri anziani sia un dovere ma anche e soprattutto un diritto e
come tale deve essere riconosciuto e sostenuto.
Non è un libro di denuncia e tanto meno vuole essere
autobiografico, ma ha l’intento pretenzioso di parlare di qualcosa che in
genere è taciuto: la vecchiaia. Credo che ci riguardi tutti ed è importante
prendere coscienza di questa condizione perché quello che c’è da migliorare si
può migliorare, a volte veramente con poco.
Perché dunque la poesia? Perché è il mio linguaggio, Perché
scava nell’oltre e nelle coscienze. Perché, come ha scritto Borges
nell’Invenzione della Poesia, non esiste argomento precluso per essa. Perché
credo fermamente che la poesia possa cambiare le cose e le mie fate me lo hanno
dimostrato. Una cosa inutile come la poesia è stata di un’utilità incredibile
davanti al cedere della vita. E Anna, Maria, Giovanna, Francesca, Vincenzina,
Luisa, Anna Rita, Rosalba e Ludovica me lo hanno provato con i lori occhi
tornati a splendere, sia pure adagiati su una sedia a rotelle e lontani dalle
loro case.
Dedico, dunque, questi miei scritti a tutti noi che
diventeremo vecchi e alle nostre famiglie affinché si ricordino che l’amore è importante e sul finire della vita
diventa assolutamente necessario.
Cinzia Marulli
Cinzia Marulli
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