Pubblicata su Avvenire – 20 dicembre 2016
Questa nuova silloge di Cinzia Marulli fa il punto su parola
e vita nell’orizzonte in cui si tracciano quei percorsi, - il titolo della
raccolta è appunto "Percorsi " - che in qualche modo tentano di
ricucire gli strappi dell’assenza con la presenza. La vita ha un incipit ma
anche un exitus. Ecco il dato di fatto. Sembrerebbe allora che ancora una volta
abbia ragione Heidegger, quando afferma che l’uomo è un essere per la morte. Ma
qui la poeta lo contraddice nei termini, dal momento che attraverso l’excursus
dei suoi vissuti, tra andate e ritorni, percorsi con buone suole, mette in
tutta evidenza come sia possibile non solo la vita per la vita, e quindi non per
la morte, ma come anche per paradosso la morte sia per la vita. C’è qui
indubbiamente un senso di latente malinconia e di nostalgia per il tempo che
passa e che fa ombra su cose e persone. In particolare le persone più care,
come la madre e il padre, a cui sono dedicati diversi passaggi
nell’attraversamento esistenziale di questi percorsi. In questa poesia, di
primo acchito, sembrerebbe essere davanti a una lirica pura, riferita a una
dimensione del tutto personale di quel passaggio, che spesso sembrerebbe
rasentare una metafisica insoluta. In questi percorsi, invece, ogni lettore
ritrova la concretezza della propria condizione che sta tutta nell’universalità
della condizione esistenziale dell’uomo così come rappresentata dalla poeta.
Concretezza, universalità e realismo integrale - nel senso che fisica e
metafisica trovano il giusto connubio – fanno di questi versi quell’autentica
poesia, che a fronte di un novecentismo ormai superato ci indicano il percorso
che la poesia contemporanea è quasi obbligata a fare nella ricerca di un senso
che giustifichi in qualche modo l’esistenza a vanificare nichilismi di ritorno
come quello heideggeriano o come altri nichilismi sposati molto bene a
sperimentalismi minimalisti che si crogiolano del solo materialismo. Nei versi
della Marulli c’è, invece, l’apertura alla vita e alla sua pienezza d’essere,
alla bellezza della vita e alla speranza che questa vita e questa bellezza
permangano al di là della morte. In questo gioca un ruolo particolare la parola
poetica che con i suoi percorsi tenta i sentieri della permanenza o meglio di
una eternità che contrasti e vanifichi l’assenza, ergo la vita che vince sulla
morte. La luce che spiazza le ombre e porta con i suoi percorsi alla radura di
rinascita. La luce… questa luce che è una costante della silloge. “È qui che
risiede la soluzione/ nel senso primordiale dell’essere”. E quindi non
fermiamoci ai lati d’ombra, ma “cerchiamo invece la bellezza in ogni cosa, in
ogni volto/che la luce fa sparire il buio/ affievolisce il rumore e ci immerge
in un’armonia di note/ ed è dolcissimo, credetemi, addormentarsi sotto la
chiara luce del bene”. E allora c’è sempre un surplus di ottimismo nella
speranza, perché i percorsi solo apparentemente hanno una conclusione e già
tracciano sentieri di senso per il futuro: “Nell’apparente conclusione di un
percorso/ si sfiorano i sentieri del domani”. Anche se permane il mistero
dell’oltre: “Lo sai cosa c’è oltre?/ A volte credo di averlo fatto il viaggio/
ma non so se era immaginazione// certo, il sogno porta nella luce// ma io
ragiono con la misura della terra/ e non so comprendere/ il senso bianco delle
nuvole”.
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