Ripropongo una mia nota di lettura al libro di poesie di Marzia Spinelli Fare e disfare (Lietocolle 2009) con una selezione di poesie:
Leggendo la silloge di Marzia
Spinelli “Fare e Disfare (LietoColle – 2009) mi è sembrato di afferrare con
mano la fatica della sua costruzione; in essa c’è racchiusa una vita intera
scelta sillaba a sillaba in un continuo lavorio di fare e disfare fino a giungere, o quasi, al compiuto. E la metafora che è del libro rispecchia quindi l’esistenza
che nulla ha concesso gratuitamente ma che ha richiesto invece tutta la fatica
del lavoro costante. In tale palestra si è dunque formata Marzia Spinelli poeta.
Non siamo di fronte ad un esistenzialismo sterile, ma davanti ad una
profondissima esperienza di vita, meditata, ragionata, assaporata fino in
fondo.
Non ci sono concessioni nel libro
della poetessa: tutte le poesie sono intrise di una particolare magrezza che le
vuole ridotte ai minimi termini quale esempio di sintesi massima. Ogni parola è
esattamente là, dove deve essere. Anche il suono, la fonetica, oltre che l’aspetto
d’inchiostro, il valore lessicale e semantico, è quello che deve essere, in
assoluta armonia con gli altri suoni in un insieme che diventa “canto” e che ci
porta ad esplorare i nostri mondi interiori, a guardare con occhi limpidi e
privi di ogni orpello il nostro sentire.
Ruolo privilegiato nella poetica di
Marzia Spinelli è proprio il “poetare”. Infatti alla poesia ella dedica alcuni
versi tra i più forti e lucidissimi, che tagliano la realtà senza farla
sanguinare come fossero un bisturi arroventato. Nella poesia “in morte di Luzi
e di altri”, senza alcun tentennamento, chiaramente e direttamente Marzia
affronta ed esaurisce uno dei temi centrali dell’essenza stessa della poesia,
tema che ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro a innumerevoli critici: a Marzia
bastano invece poche parole per dire che “tutto è già stato fatto” (…quale fulgida variante/che non sia l’infima
radiosità/del sole d’altri:/un raggio di tomba/era l’unica grande sera….) che
ormai ogni sperimentalismo è, probabilmente, solo una vaga imitazione, che, in
fondo, tutto si gioca nell’emozione. Per poi sintetizzare nella poesia “Poeti”
il profondo sentire, l’immergersi nel tutto, la capacità di stupore che è
propria dell’animo poetico (Il pane
quotidiano dei poeti/che gli occhi fanno neve,/che mordono guardando al
cielo,/è una briciola bianca/una nuvola, un eolico anemone.). La poesia è
cantata nei versi di Marzia, essa è prodigio, è purezza, meraviglia, vitalità,
fanciullezza, bellezza; il poeta è colui che osa chiamare la morte e dirle “Vieni,
il salto eterno sarà mio” (dalla poesia Cardiopoetica).
Profondo nel libro di Marzia
Spinelli è il desiderio di sopravvivere, non il desiderio di vivere a lungo,
bensì la necessità intimissima di lasciare una traccia concreta della propria
esistenza, qualcosa che vada oltre la carne, che si concretizzi invece con
l’essenza. Così, nella dedica alle figlie “A
Sara e Costanza, per restare” si manifesta questo sentimento di eternità e
ancora nella poesia “Resiste la terra prolifica”, Marzia invoca “Come vorrei sopravviverle”: è quasi una
preghiera che trova poi, naturalmente, forse addirittura inconsapevolmente, la
sua risposta nella poesia stessa.
Quello di Marzia Spinelli è un
viaggio, e il viaggio è la sua vita, con
il suo passato, il mondo interiore e quello circostante che non termina
nell’esaurirsi dell’oggi ma continua nell’aspettativa per il futuro.
Tutta la raccolta è una sorta di
dialogo che rimanda poi il lettore a interrogare se stesso, a meditare sulle
sue vicende, sulla propria esistenza e sul senso stesso che le abbiamo
attribuito.
E mi piace chiudere con le parole
del nostro Guido Oldani che ha scritto, in perfetta sintonia con la poesia di
Marzia, in una prefazione altrettanto sintetica quanto intrisa di significato:
“Qui, questa scrittura, cerca la sua strada proprio mirando al un dialogo con
la poesia che sta nel suo altrove”.
Alcune poesie tratte da “Fare e disfare” di
Marzia Spinelli.
In morte di Luzi e altri
Cosa possiamo dire
noi del ventunesimo,
quale fulgida variante
che non sia l'infima radiosità
del sole d'altri:
un raggio di tomba
era l'unica grande sera.
La corda del millennio s'è
smarrita:
la preda è la luce,
la stessa emoglobina che veste la
memoria,
la sillaba braccata,
l'identica goccia di una lacrima.
Poeti
Il pane quotidiano dei poeti
che gli occhi fanno neve,
che mordono guardando al cielo,
è una briciola bianca
unanuvola, un eolico anemone.
Quello che resta
Ma tu percorri ancora il
filamento antico,
il codice segreto che credi
conosciuto:
non appartiene più il grido
unanime
- altro ci prese, altro si smarrì
-
È solo l'invisibile dolcezza
che della vita resta.
La sintesi di rabbia e pena,
il suo ciglio e il suo profilo.
Il vento d'uomo che accompagna
con voce di ninfa la poesia.
Cardiopoetica
Ha il polso bradicardico d’un
demone fanciullo
il cuore disordinato del poeta.
Pulsa nel caos del mondo e
fibrilla
e resta bello. Va alla morte
come il suo migliore estimatore:
-Vieni- le grida – il salto
eterno sarà mio.
Prodigio
Se potessi dire giuste parole con
suono pulito
anche la mia bocca
avrebbe il sapore dell’acqua che
non odora
o della prima neve che resta
bianca.
Ma è prodigio di terra a fare
poeta…
colui che veste gli oceani e le
pianure
vaste e le rade colme del mondo,
l’esagono calmo di meraviglie.
Fare e disfare
La vita è un lascito imbrigliato:
non scioglie lacci tardi,
tenaci compongono l'attesa,
l'esatta vicinanza, l'orbita
schiarita.
Soffia pietoso l'estro del
giorno, l'ora d'aria.
Freme e s'arresta il punto
quotidiano.
Questa notte
Non dorme questa notte. S'attarda
nella conta
di ieri e di domani, è questo che
non torna:
l'onda piena che monta,
il peso dell'aria che cerchiamo
nel cielo dell'altro un po' più
ampio.
Sfugge il suo chiarore,
blindato accanto a noi.
Tra ieri e domani
Ero seduta e le voci si univano
all'aria...
poi si sono fatte silenzio
in questo soffuso dolore,
intaglio di vita che accoglie,
chiama da ogni finestra socchiusa
per ogni domani che viene
sconosciuto a entrambi, come sai,
sappiamo ormai.
Marzia Spinelli è nata nel 1957 a Roma dove vive e lavora presso un Ente
pubblico.
È
redattrice e tra i fondatori della rivista Línfera,
per il Movimento della Neorinascenza letteraria, nata nel 2006. In passato ha
collaborato ad altre riviste di arte e letteratura, tra cui La bottega del restauro, Frontiera, Omero sulle quali sono apparsi suoi articoli e testi in prosa. Attualmente
è redattrice nella rivista I fiori del
male. Suoi testi poetici sono stati pubblicati nel volume antologici Laboratorio «Zone», I poeti (Bagatto, 1990), Partendo
dalla sala infera (Notegen, 2005).
In
poesia ha pubblicato Fare e disfare (LietoColle
2009) con prefazione di Guido Oldani e Nelle
tue stanze (Ed. Progetto Cultura – Collezione di quaderni di poesia Le
gemme - 2012) con prefazione di Alberto Toni. In e-book con LaRecherche nell’ambito
del progetto Poesia Condivisa ha pubblicato Nel
cielo dell’altro un po’ più ampio (2014) con introduzione di Mario Meléndez.
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