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venerdì 3 giugno 2011

Maria Grazia Calandrone su Agave di Cinzia Marulli

Introduzione di Maria Grazia Calandrone alla raccolta Agave

L’agave viene dichiarata ad apertura, quasi a pre-testo, come metafora della scrivente, ma sembra essere anche metafora del figlio, del suo radicarsi nel corpo materno e fiorire una volta – ovvero nascere – e insieme sembra raccontare di un profondo essere figlia, nel sollevare una madre alla quale il volto cola come cera sul proprio male e un padre che l’ha già resa orfana ma ancora la sostiene, dall’altrove, perché – come in una cadenza d’inganno – questo libro è un inno alla chiarezza della vita e dell’amore, così condotto con la struttura botanica di una pianta che sboccia andando per una sola volta da radice a fiore. L’unicità del fiore spiega quanto sia duro e definitivo il fiorire, perché quello dell’agave è il fiore che annuncia la morte della pianta che lo porta come si porta uno stendardo finale.
Possiamo dire allora che queste poesie siano le orme del santo camminare della loro autrice, come recita un bel verso della penultima sezione, le tracce del suo avere camminato il mondo perché, come è tipico della poesia femminile, non c’è distanza tra la vita di Cinzia Marulli – al mare, con il figlio, dal logopedista, in ospedale dalla madre – e i suoi testi, i quali sono quasi bozzetti di quotidianità dietro la quale c’è lo specchio unico ed enorme del legame amoroso, e che paiono quasi scritti in una presa diretta sul mondo.
Ad esempio la bocca, descritta quale strumento di pena piegata a divorare addirittura se stessa che poi si piega invece a dire di una foglia gialla. Dunque siamo nella descrizione del mondo delle possibilità, dove una donna divora e restituisce quanto divora sotto forma di una inezia quasi, di una forma leggera di bellezza, che sia una foglia gialla o una poesia.
Il volume si chiude con la sezione Amore, composta di una sola poesia e di un contesto, ovvero la descrizione della genesi e del risultato di quell’unico testo nell’animo di una delle due destinatarie, una piccola creatura malata. In questa dedica e nel gesto della restituzione amorosa che chiude il volume viene fissato, come il fiore dell’agave, il senso di tutto quel caotico vivere, imbevuto e intriso di tutte le forme dell’amore che una donna può sperimentare: figlia di donna e di uomo, madre, amica, creatura immersa in una natura sororale, nei fiori e nel mare da dove siamo cominciati e che forse sarà il nostro fiore finale.
                                                                                    Maria Grazia Calandrone

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