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mercoledì 5 aprile 2017

Daniela Iodice su La casa delle Fate di Cinzia Marulli (Ed. La Vita Felice 2017)

La  Casa  Delle  Fate è il nome con cui la madre dell’autrice ribattezza il ”luogo del finire” (pag.28), la casa di riposo dove concluderà il suo percorso. Attraverso la lettura dei versi che scorrono piani, con voce quasi sommessa, per non turbare un’atmosfera in cui tutto è vissuto al rallentatore, fatta di suoni ovattati e gesti lenti come una carezza, comprenderemo che le fate sono le vecchine che la popolano e che  scopriremo ancora ricolme di desiderio di vita, alimentato dai ricordi  trasfigurati dalla nostalgia e dal rimpianto.
L’autrice pensa di portare conforto alle loro giornate rese senza fine dal vuoto e dall’assenza, ideando un laboratorio di poesia, di fantastica creazione poetica, perché  “è”  poeta ed è ciò che meglio sa dare. Scoprirà che le sue allieve, come piccole fate buone che il tempo ha imbiancato, dai lineamenti  stemperati e rarefatti in una uguale immutabile bellezza, conservano nei loro cuori, ancora palpitanti, una segreta bacchetta magica con cui riportano alla luce, come da un antico baule conservato in segreto, frammenti di vita e li porgono in dono creando esse stesse poesia.
Così l’autrice, da consolatrice si riconoscerà confortata e scoprirà un universo di emozioni gioie rimpianti, che si tradurranno in ineguagliabile  arricchimento. 
Non c’è ironia nel titolo, in contraddizione con quanto detto da altri (pag.58), ma solo l’intuizione di una donna, la madre dell’autrice, di straordinaria sensibilità e capacità intuitiva, tanto da percepire i tesori nascosti nei cuori delle sue consorti, che come per magia trasfigurano attraverso la creazione fantastica memorie  di  vita vissuta: tutto viene addolcito, il male cancellato, mentre il velo di una senile demenza a volte avvolge il dolore passato e tutto ammanta, lasciando affiorare solo i buoni ricordi. Come non andare con il pensiero a uno dei componimenti più belli che siano mai stati scritti per la propria madre, penso a d’Annunzio e alla sua Consolazione: “… Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio.\ Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato \ serba ancora per noi qualche sentiero. \ Ti dirò come sia dolce il mistero \ che vela certe cose del passato…..
Nella cura che i figli mostrano per la madre, a cui ormai “sono preclusi i più piccoli e umili gesti della quotidianità (pag.5)”, i ruoli sembrano essere ribaltati.
Una amica messicana, sensitiva e pranoterapeuta, una volta mi disse che, nel volgere delle costellazioni attraverso il trascorrere del tempo, tutti siamo in comunicazione con tutti: il medesimo patrimonio di affetti e conoscenze alberga in ciascuno di noi poiché ciascuno è stato madre padre figlio figlia sposo sposa dell’altro. Di vita in vita, di reincarnazione in reincarnazione ci rincorriamo, a volte solo sfiorandoci, a volte in un connubio che sfida la morte.
Ma la madre non cesserà mai di prendersi  cura dei figli(pag.14): il loro bene è il suo.
In chi resta è il rimpianto di non aver fatto abbastanza, di aver perso infinite cose che avremmo potuto ancora dare e avere. Non dobbiamo essere troppo severi: preservare noi stessi equivale a preservare anche i cari che non ci sono più, perché, per dirla con Foscolo, finché noi ci saremo , ne resterà memoria e continueranno a vivere in noi. Dunque non sentiamoci in colpa se pensiamo di non aver fatto abbastanza. Non si farà mai abbastanza. L’importante è averli amati, essere stati loro accanto, averli aiutati a sopportare con leggerezza l’umiliazione dell’incerata( pag.16) o della minestra insipida e sempre uguale(pag.19), se  questo era il prezzo da pagare per continuare ad apprezzare il bello delle piccole cose, il volo di una farfalla o il ronzio di un’ape che darà miele.
Ci commuove il  desiderio di amore, la non rinuncia a sentirsi ancora donna mentre si agghinda con un cappello di paglia per proteggersi dal sole della vita, ormai troppo forte per non esserne ferita. Alle Fate si addicono le tinte tenui e l’ombra della sera, il crepuscolo di un lento tramonto che si spera non finisca mai. Illusione d’essere immortali! Che il nostro tempo  non abbia fine!
Poi la notte si affolla di ricordi, tanto da poter dire che  le fate vivano più di notte che di giorno, ripercorrendo  il sentiero senza affanno, ma con maggior dolore nella consapevolezza che tutto è perduto( pag..18).

A chi rimane ancora non resta che esaudire gli ultimi desideri: il luogo della sepoltura, le foto, suggellare gli ultimi segreti, rifugiarsi nei luoghi e nelle cose che furono loro per ritrovare la parte migliore di noi( 48).

                                                                                       
Daniela Iodice

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